Capitolo 8. Chapel Hill.

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Grace.

Quasi sessantamila anime, questa era Chapel Hill. Ad appena un'ora di macchina da quel buco di Nightsnow tutto sembrava possibile. Non come nelle favole, no, ma come una realtà generosa che ti viene improvvisamente servita su un piatto d'argento, dopo mesi passati a mangiare in recipienti di plastica.

Chapel Hill, che insieme a Raleigh e Durham formava il famoso Triangolo, significava università, certo, con la sua storica University of North Carolina, significava sport – dal basket al baseball, dall'hockey al calcio – ma, soprattutto significava musica.

E Grace era agitatissima. Perché aveva accettato? Andare a un concerto con un appassionato critico musicale nel regno della musica?

Avrebbe fatto solo enormi figure di merda, lo sapeva. Non era pronta. Amava la musica, ovviamente, ma non poteva competere con la cultura di Cooper. L'avrebbe trovata noiosa dopo i primi cinque minuti di scandalosi monosillabi alle sue domande e avrebbe desiderato non averla mai invitata. O, peggio, avrebbe desiderato scaricarla.



Invece era filato tutto liscio. Anzi, Cooper era passato a prenderla con la sua amata Harley-Davidson Sportster 1200 Forty Eight ABS e, sebbene il suo abitino anni "50 con pizzo e stampe floreali in bianco e nero aveva rischiato di non superare la serata, non si poteva dire la stessa cosa della conversazione.

Avevano parlato lo stretto necessario: andavano al Viper, uno dei club più esclusivi di tutta Chapel Hill in fatto di musica, una vera chicca. Voleva seguire da vicino una cover band che l'aveva colpito e che, secondo lui, aveva le carte in regola per sfondare nel mercato discografico. Le sarebbe piaciuta l'atmosfera, le aveva detto, scompigliandosi nervosamente quella sua chioma color sabbia, per poi indossare il casco.

Poi, prima di abbassare la visiera, dal suo chiodo di pelle nera aveva tirato fuori un'I-pod e gliel'aveva passato.

Ha fatto una maledetta playlist per me, pensò lei, mentre sul display campeggiava la scritta Per Grace e nelle sue orecchie si diffondevano le note di Bitter sweet simphony dei Verve.



Grace scoprì con sorpresa – non era mai stata di persona a Chapel Hill prima d'ora – che stare su Franklin street, la strada dove si trovava il Viper club, era come essere catapultati nella New York che le era capitata di vedere sul maxi schermo del suo cinema preferito: c'era un ristorante greco accanto a un italiano seguito da uno arabo. La cucina era internazionale. Come se non bastasse, poi, quell'enorme corridoio di cemento era pieno di bar sport, data anche la vicinanza con la UNC. E, ancora: c'era il Planetario accanto al giardino botanico. Il museo di Auckland e una galleria d'arte che l'attirava inspiegabilmente.

Ma Franklin street pullulava di vita anche di notte, non solo di giorno. E per la movida notturna l'ascolto di una band al Viper era un'occasione da non perdere, le aveva sussurrato Cooper, mentre parcheggiavano, per poi suggerirle di portare il casco con sé nel locale.

Grace scese da quella belva ruggente su due ruote e tenne lo sguardo basso. Aveva accettato quell'invito senza riflettere troppo, presa dall'euforia del suo primo successo lavorativo, ma ora non era più sicura di niente.

Non aveva più voluto saperne di relazioni sentimentali dopo quanto era accaduto ad Emily, e sapeva che, per questo, allo Star, erano iniziate a circolare voci sulla sua asocialità, per non dire stranezza.

La fenice spezzataWhere stories live. Discover now