Maledizione

769 56 34
                                    

Un sordo russare mi destò dai miei sogni agitati. Rotolai su in fianco e, borbottando oscenità a mezza voce, rifilai una gomitata scocciata a Labhraidh, il quale dormiva al mio fianco con la bocca aperta e un ciuffo di capelli castani spalmato sulla faccia.

Il ragazzo biascicò nel sonno e, girandosi dall'altra parte, riprese a russare con più vigore di prima.

Sbuffai irritata e, abbandonando completamente l'idea di rimettermi a dormire, sgusciai fuori dal letto matrimoniale.

Il freddo del pavimento penetrò le mie piante dei piedi, facendomi rabbrividire con forza. Acciuffai la felpa che Declan mi aveva prestato il giorno precedente e, infilandomi le sue calze, lanciai un'occhiata al letto: Michan e Labhraidh stavano dormendo beati, con braccia e gambe estese ad occupare ogni centimetro di materasso disponibile.

«Cafoni» brontolai sotto voce, rendendomi conto di aver dormito schiacciata fra i due tutta la notte, senza ampie libertà di movimento.

Silenziosa come un gatto, scivolai fuori dalla camera e mi avviai verso la cucina, dove speravo di trovare un Bern già attivo e pronto a sfamarmi con un'abbondante colazione.

Sfortunatamente, come mi resi conto lanciando una distratta occhiata al grande orologio posto sopra al camino, erano solo le cinque della mattina, quindi la cucina era chiusa e non vi era anima viva in giro.

Mi intrufolai quindi nel minuscolo salottino, dove le braci ancora fumavano nel camino, e sbirciai fuori dalla finestra. La strada era debolmente illuminata da vecchi lampioni, radi lungo la via, e la pioggia scrosciava ancora con insistenza. Qua e là, il cielo baluginava di lampi, seguiti a breve distanza da sommessi rombi lontani.

Rabbrividii nel leggero pigiama di cotone che indossavo e, avvolgendomi una coperta sulle spalle, diedi un'occhiata ai vecchi volumi malamente impilati su uno scaffale del salotto.

Afferrata una vecchia edizione de L'isola del tesoro, mi acciambellai nella poltrona e iniziai distrattamente a leggere l'introduzione.

I miei pensieri, però, viaggiavano veloci, lontani dal mondo creato da Stevenson, e ben presto mi ritrovai a fissare con sguardo perso le braci ormai quasi spente nel camino.

Ora che avevamo trovato la Spada e, con essa, il suo legittimo proprietario, avevamo tre dei Quattro Tesori d'Irlanda... ma non sapevo se i doni degli dei sarebbero stati sufficienti per aiutarci nella guerra a venire. Per di più, dubitavo che i capi clan sarebbero stati entusiasti: gli unici in grado di maneggiare gli artefatti erano una fata, una potente strega senza però controllo sui propri poteri, e la sottoscritta, incapace di fare anche il più banale degli incantesimi.

Come sempre più spesso succedeva, la mia mente corse poi a Finvarra. I suoi penetranti occhi neri mi aspettavano ogni notte nei miei sogni, tormentandomi e rubandomi il sonno, e il non sapere cos'egli stesse tramando mi inquietava sempre più di giorno in giorno.

Possibili scenari di guerra invasero i miei pensieri, e mi ritrovai a riflettere sul fatto che io non avessi la benché minima idea di come si sarebbe potuta svolgere una battaglia, qualora il momento fosse giunto.

«Cosa ci fai già in piedi, Rowan?» mi riscosse una voce, facendomi sussultare.

Sollevai lo sguardo dalle ceneri e scorsi Declan, con indosso una tuta grigia e una felpa giallo canarino.

Dietro di lui, l'orologio da parete segnava le sette del mattino.

Sbadigliai: «Devo essermi addormentata» risposi, stropicciandomi gli occhi stanchi.

Il ragazzo si sedette al mio fianco, sulla poltrona che la sera prima era stata occupata da suo fratello, e commentò: «Credo bene! Il russare di Labhraidh ha svegliato tutti nell'arco di una cinquantina di chilometri».

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora