Ritrovarsi

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Quando mi risvegliai, il sole era già alto nel cielo.

Sentendomi stranamente rinvigorita e piena di energie, balzai giù dal letto e spalancai la finestra, lasciando che il profumato vento primaverile si riversasse all'interno della stanza. Fissai i germogli sugli alberi del giardino, le foglioline verdi e tenere sui rami più alti, le rondini cinguettare nel terso cielo azzurro chiaro, e mi sentii a casa.

In lontananza, l'oceano scintillava placidamente sotto i raggi del sole, e i gioiosi strilli dei bambini che giocavano a rincorrersi per le vie del paese mi fecero sorridere.

Lasciai che il mio sguardo corresse all'orizzonte, là dove il cielo si confondeva con il mare, e riuscii solo a pensare che sarebbe andato tutto bene. In un modo o nell'altro, avrei superato tutte le avversità e alla fine, forse, sarei davvero riuscita ad essere di nuovo felice.

Tonificata da quei ridenti pensieri, uscii dalla mia stanza e saltellai lungo il corridoio, diretta in cucina per sfamare il sordo brontolio del mio stomaco.

A metà della scalinata, però, sentii numerose voci parlottare fitte fitte in salotto, e mi fermai un istante per origliare.

«Vi ho detto che ha bisogno di spazio! Lasciatele il tempo di riprendersi, ragazzi, per favore!» stava sbottando Laidhgeann, sovrastando le altre voci con la sua, forte e imperiosa.

«È la mia migliore amica, e non la vedo da cinque anni! Avrò il diritto di vederla, o sbaglio?!» sbraitò di rimando una voce che ben conoscevo.

«Facci salire, Laidhgeann. Cinque anni sono stati lunghi anche per noi» commentò un'altra voce, più pacata, e io mi portai le mani alla bocca, cercando di coprire l'immenso sorriso che era appena comparso sul mio volto.

Ridendo con le lacrime agli occhi, corsi giù dalle scale, strillando: «Labhraidh! Michan!».

Feci irruzione nel salotto e mi bloccai sulla soglia, con gli occhi spalancati dalla sorpresa.

Labhraidh era più muscoloso di quanto ricordassi, e i suoi lineamenti, ora, erano da uomo. Aveva i capelli più corti rispetto a cinque anni prima e una cicatrice recente sul mento, ma il sorriso che si aprì sul suo viso non appena mi vide era il sorriso a cui mi ero affezionata quando avevo sei anni e andavo alle elementari.

Diversamente da Labhraidh, Michan portava capelli lunghi, legati in una crocchia scomposta sulla nuca, ed io mi ritrovai a pensare quanto la nuova acconciatura gli stesse bene.

Incredibilmente, il volto del ragazzo era coperto da una curata barbetta rossa e, a quella vista, non riuscii a trattenermi: «Oh, mio dio! Michan, quanto testosterone hai preso per riuscire a farti crescere la barba?!» sbottai, scoppiando a ridere.

«Dio, quanto mi sei mancata!» esclamò il ragazzo con una voce stranamente adulta e, raggiungendomi con un paio di falcate, mi sollevò da terra e mi fece roteare in un abbraccio.

Non appena mi lasciò andare, mi ritrovai stretta fra le muscolose braccia di Labhraidh.

«Ti odio» sibilò il ragazzo, affondando il volto nei miei capelli, «Sono stato di merda senza di te, mi sei mancata come l'aria!» sbottò, stringendomi con forza.

«Ma che hai fatto, un bagno nelle fragole?» mi domandò poi, ridendo e annusando la mia pelle come un segugio.

«Ragazzi... siete cresciuti. Dio, siete due... uomini!» esclamai, non riuscendo a distogliere lo sguardo dai loro volti, così simili eppure così diversi da quelli dei ragazzi che conoscevo.

«Tu invece sei identica all'ultima volta in cui ti ho vista. Sei sempre la solita nanetta» commentò Michan, ridendo, e Labhraidh rincarò: «Già, e, se permetti, i tuoi capelli fanno ancora più schifo. Sono arancioni! Oggi andiamo a comprare una benedetta tinta. Avrei voluto fartela fare cinque anni fa, ma non ne ho più avuto l'occasione» mi derise, scompigliandomi la chioma con affetto.

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora