Il Calderone e la Spada

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Non appena la macchina entrò nel vialetto di casa mia, mia madre e Laidhgeann corsero fuori dall'abitazione, venendo incontro a me e Solamh con espressioni preoccupate.

«Rowan, tesoro!» strillò mia madre, stringendomi con forza a sé non appena fui scesa dalla vettura, «Devi smetterla di farmi preoccupare! Eri con Rìan? Cosa... cos'è successo in quel tribunale?».

«Vi spiegherò tutto, non appena saremo seduti in cucina, al caldo» risposi, sfregandomi le braccia con forza, avvolta dalla giacca leggera di Solamh.

Era una mattina nuvolosa e piuttosto fredda, come spesso lo erano le mattine primaverili in Irlanda. Un infido venticello freddo soffiava dall'oceano, infiltrandosi fra gli stipiti dei serramenti e fra le pieghe dei vestiti, e le nubi basse coprivano le cime dei monti, avvolgendole in un manto di grigia foschia.

«Forza, entriamo» mi esortò allora Laidhgeann, posandomi un braccio sulle spalle e scortandomi fin sul portico, «Vieni anche tu, Solamh» aggiunse poi, facendo cenno all'uomo, che ancora sedeva al volante, di seguirci.

Una pungente fragranza di zenzero e limone permeava l'intero piano terra, e da quel profumo compresi che Laidhgeann si era dato alla preparazione dei suoi famosi biscotti, che tanto adoravo.

In cucina trovai Declan e Daghain già seduti e, non appena oltrepassai la soglia, i loro sguardi si puntarono su di me.

«Ciao, nipote» mi salutò Daghain, fissandomi con i suoi occhi verdi ricolmi di astuzia.

Mia nonna era una vecchia alta come una pertica e magra come un chiodo, amante di orrendi abiti vintage dai colori improbabili. Quel giorno, infatti, indossava una gonna color senape lunga fino a metà polpaccio e un cardigan nero, che metteva in risalto la sua carnagione estremamente pallida. Il suo viso era solcato da profonde rughe e costellato da fini efelidi, che un tempo erano state accompagnate da una folta capigliatura vermiglia, così diffusa nelle famiglie irlandesi. L'età, però, aveva reso i suoi capelli candidi come la neve e, quel giorno, Daghain li aveva intrecciati in uno stretto chignon sulla sommità della testa.

Daghain era estremamente acuta, algida e colta, a volte addirittura arcigna, inoltre amava tramare nell'ombra e avere segreti. Il mio ritorno dal Regno Sotterraneo aveva destato la sua curiosità, ed ecco spiegato il motivo per cui, quella mattina, era seduta a capotavola nella mia cucina.

«Nonna» la salutai, senza troppo entusiasmo.

Declan, invece, mi rivolse un caloroso sorriso e, alzandosi dalla sedia, mi venne in contro a braccia aperte. Mi strinse in un caldo abbraccio ed io, posando la guancia sul suo petto, inspirai il profumo di pulito del suo maglione.

«Hai parato il culo a mio fratello, Rowan... grazie. Ti sono debitore» mormorò, fissandomi con quei suoi occhi così incredibilmente blu.

Gli sorrisi con tenerezza, fissandolo dal basso in alto: «Ho fatto ciò che avrebbe fatto chiunque» risposi, poi mi sedetti al suo fianco.

«Come stai, tesoro?» mi domandò Laidhgeann una volta che mi fui seduta in cucina, mettendomi in mano un piatto ricolmo di dolcetti per acquietare il sonoro brontolio del mio stomaco, che non pareva affatto sazio dalla colazione fatta in precedenza a casa di Rìan.

«Adesso bene, grazie» risposi, sgranocchiando un biscotto.

«E allora, signorina...» borbottò mia nonna, «Raccontaci un po' questa storia della Lancia di Lug» mi incalzò, ed io spiegai loro tutto ciò che sapevo in proposito.

Alla fine del mio racconto, Moira si attorcigliò una rossa ciocca di capelli sull'indice e, con fare meditabondo, commentò: «Se Rìan fosse davvero l'unico in grado di utilizzare la Lancia di Lùg... lancia nota ai più per essere uno strumento quasi imbattibile... allora nessuno potrebbe più cercare di sbarazzarsi di Rìan, perché sarebbe un soldato troppo prezioso nella lotta alle fate».

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora