Ci incontriamo di nuovo

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Non uccidetemi.
Respirate a pieni polmoni e non uccidetemi.

***

Ce ne andammo da Kilbaha la mattina seguente.

Sia Daghain che Rìan erano d'accordo sul fatto che fosse inutile rimanere al villaggio ora che avevamo trovato la spada; così pagammo Bern, che ci salutò con le lacrime agli occhi, e salimmo sulle macchine.

Per qualche brutto scherzo del destino mi ritrovai in auto con Rìan e Grania, stretta fra Declan e Cian nei sedili posteriori e schiacciata come una sardina.

«Quasi quasi, quando tutta questa storia con le fate sarà finita, io ci vengo a vivere qui a Kilbaha. Sai che spasso vivere con Bern!» commentò Cian, fissando con una punta di malinconia nei limpidi occhi azzurri il villaggio che scorreva veloce alla nostra sinistra.

«Sempre che tu sia ancora vivo» ribatté macabro Declan, armeggiando con le cuffiette intricate nella custodia.

«Dai, ragazzi, non discutete» si intromise Grania, voltandosi verso di noi con le rossicce sopracciglia aggrottate.

«E non ti preoccupare, Declan, vedrai che andrà bene: abbiamo anche Donegal dalla nostra parte» continuò, rivolgendo al ragazzo un luminoso sorriso.

«Sempre che i capi clan non lo scuoino vivo appena metterà piede al villaggio» fu la secca risposta di Declan che, apparentemente, quella mattina si era svegliato dalla parte sbagliata del letto.

Gli posai una mano sul ginocchio, attirando la sua attenzione, e domandi piano: «Va tutto bene?».

I suoi occhi blu non incontrarono il mio sguardo, ma rimasero bassi sulle mani intrecciate in grembo: «Ho solo un brutto presentimento, tutto qui».

«Vuoi parlarne?».

«No, è solo... non mi piace tutta questa incertezza» borbottò ed io non potei che dargli ragione.

Mi offrì quindi una cuffia e, accettandola con un sorriso, lasciai che i miei occhi corressero fuori dal finestrino.

Era una giornata fosca, con pallide nuvole bianco sporco che velavano il cielo, e il sole appariva come una triste pallina gialla che faceva debolmente capolino fra tutto quel grigiore.

Tutti i colori apparivano meno brillanti, più mosci, e mi trasmisero una nota di profonda tristezza.

«Allora, Rowan, dimmi un po'...» esordì Grania dopo una decina di minuti passati in rigoroso silenzio, «...com'è stato recuperare i tuoi poteri?» mi domandò, voltandosi verso di me e scrutandomi con un'apparente gentilezza negli occhi scuri.

Mi schiarii la gola e mi tolsi la cuffietta dall'orecchio: «Oh, ehm, in realtà non è cambiato molto, visto che non li posso usare».

«Dev'essere una bella tortura, eh? Soprattutto considerando che, da quanto so io, eri piuttosto brava con la magia» aggiunse con un sorriso garbato.

«Sì, non è piacevole» borbottai, leggermente in imbarazzo.

«E con Donegal com'è stato?» indagò; poi la sua espressione si dipinse di disgusto: «Sangue, che cosa orrenda. Non immagino come tu abbia potuto non vomitare».

Mi sentii arrossire fino alle punte dei capelli e mi sentii sporca, come se effettivamente le parole di Grania mi avessero fatto comprendere quanto assurda e stomachevole fosse la cosa.

«Sarei morta se non lo avessi fatto, quindi vomitare non era un'opzione molto valida» mormorai, cercando di spiegarmi.

Rìan guardò nello specchietto retrovisore e i suoi occhi grigi incontrarono i miei, studiandomi brevemente.

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora