L'incarnazione del male

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Un quarto d'ora dopo avevo il fiatone e le gambe rigide come ciocchi di legno. Seguire Lúg era stata una vera e propria impresa, infatti il generale mi aveva dovuta aspettare più di una volta per non lasciarmi indietro, e io avevo fatto comunque una fatica del diavolo.

Osservando la mia frangia appiccicata alla fronte sudata, le labbra di Lúg si piegarono in un ghigno derisorio: «La vostra componente umana è ridicolmente debole... rimango dell'idea che, se Dagda non vi avesse aiutati, vi avremmo schiacciati come formiche» esclamò, stringendo la mano a pugno con talmente tanta forza che le nocche gli divennero bianche.

«Dagda era così potente?» domandai, sinceramente curiosa, ignorando i suoi espliciti insulti.

Per la prima volta, il generale rispose senza ironia o scherno: «Sì. Era un dio, l'ultimo rimasto sulla Terra, l'unico ad aver scelto di non abbandonare i suoi discendenti. Era la nostra guida, ma non ha apprezzato la nostra decisione di nutrirci del sangue degli umani e ci ha voltato le spalle, aiutandovi ad intrappolarci qua dentro» sbottò, e nelle sue parole colme di risentimento percepii anche un briciolo di tristezza.

«Lo conoscevi?» chiesi ancora, fissando gli occhi d'argento di Lúg con curiosità.

La sua risata forzata mi diede i brividi: «Dagda? Sì, certo che sì» commentò, per poi aggiungere, con voce fredda come il ghiaccio: «Come avrei potuto non conoscerlo? Le sue decisioni hanno portato alla morte della mia amata».

«Come... Cos'è successo?» sussurrai, cercando di tenere la voce bassa per non spezzare la calma che si era creata fra di noi.

Gli occhi del generale si fecero cupi come una notte tempestosa, e un ringhio proruppe dalle sue labbra contratte: «Ti basti sapere che lei è morta. Uccisa dalle streghe... uccisa per colpa di Dagda e del suo amore per gli esseri umani. Lei è morta perché voi poteste vivere».

Deglutii sonoramente e, colta da un moto di compassione nei suoi confronti, posai le dita sul suo braccio marmoreo e mormorai: «Mi... mi dispiace tanto».

Il suo sguardo pungente si posò rapido sulle mie falangi: «Leva la mano da lì. Immediatamente» ringhiò, scoprendo i denti.

La mia mano tremò ed io, impaurita, ritirai di scatto l'arto incriminato e me lo strinsi al petto, tenendo gli occhi sgranati fissi su di lui.

La fata mi scrutò con uno sguardo indecifrabile e una fiamma d'odio si accese nelle sue iridi, che sfolgorarono come mercurio liquido. Lúg scattò rapido come una molla e, inchiodandomi al muro con il suo fisico possente, mi strinse la gola fra le sue agili e ferree dita.

«Smettila di guardarmi così, hai capito?! Smettila! Chiudi quei maledetti occhi da cerbiatto terrorizzato!» tuonò, stringendo la presa, e io rantolai, stretta nella sua morsa, chiedendomi cosa diavolo avessi fatto, questa volta, per scatenare la sua ira.

Improvvisamente, il generale lasciò la presa sul mio collo e io mi accasciai a terra, riuscendo di nuovo a respirare. Inspirai con forza, a corto di ossigeno, e alle mie narici giunse un acre odore di bruciato. Sollevai lo sguardo e, mettendo a fuoco al di là dal velo di lacrime, mi ritrovai a fissare la pelle carbonizzata della mano di Lúg.

Sul mio palmo, la cicatrice a forma di rampicante scintillava d'oro.

«Il Patto di Sangue» balbettai con voce roca, elogiandomi da sola per aver avuto un'idea tanto brillante.

«Contenta?» sibilò Lúg, «Questo è ciò che succede a tutti coloro che ti toccano e che tu percepisci come minacce» sbottò, voltandomi le spalle senza degnare di un'occhiata la propria mano e dirigendosi a grandi falcate verso la sala dei banchetti.

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora