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Lèssi tutto. Non avrei mai immaginato una tale profondità del mio amico. O meglio, sapevo che era un ragazzo intelligente ma non avrei mai pensato che questo è quello che provava veramente nei confronti della mia sorellastra. Le guance iniziano nuovamente a venir rigate dalle lacrime e guardo la ragazza minuta seduta ancora sul letto, persa a guardare le lettere che ha steso minuziosamente davanti a sé e passando leggera un dito su di esse ripassando le curve delle lettere che compongono il nome dell'amato.
«Sina io...non so veramente come scusarmi per avervi separati» borbotto guardando le punte dei miei stivali. La ragazza sospira e si mette composta.
«No, non è colpa tua se ho fatto queste scelte. Ho pagato il prezzo di tradire le persone più care della mia vita. E ora ne ho persa una molto importante non avendo più la possibilità di passare tempo con lui, insieme.»
Questo suo comportamento mi preoccupa troppo. Dopo lo sfogo di poco fa si è ricomposta chiudendosi a riccio e non lasciando entrare nessuna mia osservazione o proposta, si lascia scivolare tutto addosso. La vorrei aiutare così tanto...
«Ti faccio uscire da qui» esordisco alzandomi in piedi. Non posso permetterle di rimanere sola in queste condizioni. Non dopo aver letto quella lettera.
La ragazza mi guarda con sguardo spento e un'espressione stanca in volto.
«Non te lo lasceranno fare.»
«Sì, ti ho chiusa io qui dentro e io ti farò uscire. Tu aspetta solo qualche istante qui.» Lei annuisce e torna a giocare con le lettere del nome Marco.
Esco dalla stanza e cerco l'ufficio del comandante di questo posto e appena trovo la porta con l'incisione busso aspettando una risposta. Attendo qualche istante e la porta viene aperta rivelando un uomo robusto e di un'età abbastanza avanzata. Ma dietro di lui scorgo una seconda figura più che familiare.
Che ci fa lui qui? Perché lo trovo ovunque?
«Sì Signorina?» mi risveglia l'uomo.
«Oh sì...vorrei parlare con lei di un detenuto se possibile» borbotto non togliendo lo sguardo dall'uomo dietro di lui.
«Sto finendo un affare. Non ti dispiace attendere qualche minuto?» Faccio cenno di negazione con la testa e richiude la porta.
Perché tra tutti proprio mio padre?
Non fidandomi di lui appoggio l'orecchio sul legno della porta per ascoltare i loro discorsi. Se c'è di mezzo lui non possono essere altro che questioni illegali, scambio di qualche bene proibito, suppongo.
«Scusa...eravamo rimasti?»
«Al prezzo. Te ne faccio avere tre belle carine per una sacca.»
«È troppo alto, non c'è guadagno.»
«Sono tre però. Normalmente sarebbero una sacca e mezza, tu sei un cliente fisso e hai uno sconto.»
«...e va bene. Riesci per domani sera? Hanno organizzato una festa e come loro capo ogni tanto devo farli divertire.»
«Sì nessun problema. Domani saranno qui come richiesto.»
Sento che si alza e si salutano e subito mi vado a sedere come se nulla fosse in una delle poltrone d'attesa. Quei vermi stanno organizzando una compravendita di ragazze. Disgustoso. E se non ricordo male una sacco corrisponde a mille monete. Mille monete per delle ragazze. Ok forse il termine ragazze è troppo visto che ha bambine tra la sua merce. La più grande che mi è capitato di sentire durante uno dei suoi discorsi è stata una di 16 anni e da quello che raccontava è raro trovarne. Principalmente ha "merci" tra gli 11 e 13 anni. Povere anime innocenti, usate in questi modi.
La porta si apre e il comandante saluta quella cosa che dovrei chiamare padre per poi rivolgersi a me invitandomi a entrare.
Faccio qualche passo fermandomi poi di lato al mio parente più deludente.
«Che delusione che sei, non riuscire nemmeno a farsi ammazzare come si deve...»
«Per tua grande gioia sono ancora viva e nei miei piani vedo di rimanerci ancora per un po'. Sai sarai sorpreso ma c'è un rozzo campagnolo che a differenza tua tiene a me, ed è più che ricambiato.»
«Ancora con questa fase ribelle. Quando sarà finita questa infatuazione e vorrai vivere una vita quanto meno decente torna da me. Ci sono molte proposte che mi arrivano per averti in moglie. E se sei così ostinata ad avere qualcuno delle tua età lo troveremo di certo tra tutti i pretendenti. Sei molto desiderata e il fatto che un sempliciotto abbia catturato la tua attenzione ti ha resa, stranamente, ancora più desiderabile.»
«Non prendere il fatto che non ti abbia ancora steso come timore. Semplicemente non posso fare molto in questo periodo se no saresti già con qualche osso rotto. Non sono come una tua merce succulenta, mettitelo bene in testa» e detto ciò lo lascio nel lungo corridoio da solo ritornando al motivo della mia ricerca di questo ufficio.
Appena metto piede dentro la stanza un terribile fetore mi costringe a trattenere il fiato. Wall Maria che schifo! Ma aprire la finestra richiede troppa fatica? Mi siedo controvoglia davanti alla sua scrivania e l'uomo fa lo stesso sulla sua poltrona.
«Allora? Chi è e cosa ha fatto?» chiede prendendo foglio e penna.
«Sina Dunchees, vorrei farla uscire di qui» rispondo velocemente. Gli occhi del vecchio si staccano dal pezzo di carta bianca e lentamente solleva lo sguardo sulla mia figura, probabilmente per vedere se faccio seriamente.
«Senti non ho tempo da perdere per delle ragazzate-»
«Perché deve organizzare una serata per far divertire i suoi sottoposti con delle bambine? Penso che possa trovare il tempo per scrivere su quel foglio il permesso di uscita. Sono stata io a mandarla qui quindi posso anche ben scegliere se ha scontato la pena che le spettava» poi per essere più credibile inizio a mentire «Non ha fatto nulla. È stata solo una vittima del suo stesso padre e del suo orribile piano. È pur sempre una ragazzina e non sapeva come agire. Le è stato fatto il lavaggio del cervello e ora è qui a scontare qualcosa per cui non ha colpe.»
Il comandante, probabilmente fermo con la mente alla prima frase, ha un colorito molto pallido e inizia a scrivere qualcosa muovendo velocemente la penna.
«Tieni. Fai quello che vuoi ma non venire più qui e soprattutto non farne parola con nessuno.»
Prendo la lettera soddisfatta e dopo essermi alzata mi dirigo a passo veloce ma deciso verso la porta. Quando la apro mi rigiro nella sua direzione e con un gran sorriso dico «Oh ma non si preoccupi. Ho già fatto un patto con mio padre: io non mi intrometto nei suoi traffici e lui non si intromette nella mia vita» e detto ciò chiudo la robusta tavola di legno alle mie spalle. È stato più semplice del previsto.

Trotterello felice per i corridoi, destinazione la stanza di Sina. Finalmente uscirà di qui e potrà tornare a vivere. Lo so che è colpa mia se è qui dentro ma è tutto partito da lei quindi è una via di mezzo. Ognuno ha fatto la sua parte in questa storia.
Consegno la lettera del comandante allo stesso uomo che mi ha accompagnata dalla ragazza quando sono arrivata e lui apre la porta per lasciare andare.
«Sina! Torniamo a casa! Su alza il tuo culo pesa..nte...SINA!» Appena entro la trovo stesa a terra inerme e mi precipito a gran velocità da lei. Lo sapevo! Lo sapevo merda! Non dovevo lasciarla da sola in quelle condizioni, che mi è saltato in mente?
«Hey Sina svegliati! Rispondi ti prego!» la agito per farla riprendere ma non ho segni da parte sua.
Guardo in giro per capire come abbia fatto ma non trovo niente. Guardo più attentamente il suo corpo e noto una piccola lama tra le sue dita e un profondo taglio al braccio.
«Si può sapere perché ha una lama?! Non controllate i vostri prigionieri?!» urlo arrabbiata all'uomo che ancora sta sulla soglia. Non si è mosso di una virgola e se n'è rimasto fermo a guardare.
«Sina resisti. Ti aiuterò io, va bene?»
Mi alzo cercando di prenderla in braccio ma una fitta mi ricorda di non esagerare e ricado a terra.
«AIUTAMI CAZZO!» sbraito contro quell'inutile guardia. Non ci arriva proprio che ho bisogno d'aiuto? Allora si avvicina e si carica la ragazza sulle spalle accompagnandoci entrambe in infermeria.
La stenda sul letto medico e nel mentre cerco negli scaffali qualcosa che possa essermi utile. Cerotti, fazzoletti, sciroppi, pastiglie...non c'è proprio nulla che possa servire?! Trovo poi una scatola con ago, fili e toppe. Una scatola per cucire abiti in infermeria? Ma come diamine è organizzato questo posto?
Lascio perdere la scarsa logica di dove mi trovo e cerco un fiammifero che seguendo il pensiero di chi vive qui dovrebbe trovarsi nella sezione libri. E per l'appunto eccolo, tra le enciclopedie.
Lo accendo e scaldo velocemente l'ago per disinfettarlo. Provo a inserire il filo ma le mani mi tremano. Coraggio [T/n], l'hai già fatto, sei capace.
No, quella volta era vivo e non stava per morire. Qui invece c'è una Sina che si sta abbandonando alla morte senza nemmeno provare a lottare.
«Sei sempre stata una ragazza inutile. Sei stata cresciuta per essere una brava mogliettina. Vedi? Non sei nemmeno in grado di proteggere chi ami.»
BASTA! Taci! Esci dalla mia testa!
Scoppio in lacrime nuovamente per le grandi responsabilità che mi ritrovo sempre davanti. Perché devo essere io a decidere della vita di chi mi è intorno? Non ce la faccio più...
Le mani mi tremano e non riesco a inserire il filo nel piccolo buco dell'ago.
«Guardati. Che pena che fai. Sempre inutile.»
Perché la mia mente mi sta facendo questo? Perché forse le parole di mio padre sono vere? Sono veramente così inutile?
«Hey, [T/n], non ascoltarlo. Tu sei forte.»
Mamma...
Solo la sua presenza lontana basta a risvegliarmi e a trovare la fermezza per aiutare mia sorella. Sina scusa se ci metto così tanto, ti prego resisti.
Riesco a inserire il filo e posso finalmente aiutare la ragazza, ricucendo il suo polso. Il sangue caldo che continua a uscire mi scorre sulle mani sporcando il pavimento e i miei abiti. Ripulisco con uno straccio la ferita per poter vedere meglio dove far passare l'ago. Quell'inutile uomo è ancora più inutile di prima: appena ho iniziato a cucire è svenuto.
Lavoro attenta, senza il minimo tremolio e dopo circa una mezz'ora finisco il mio lavoro. Sono esausta. Sudata. E psicologicamente prosciugata di ogni minima goccia di concentrazione.
Mi lascio cadere lungo la colonna centrale della stanza, guardando il suo letto e pregando che si risvegli. Ha perso tanto sangue e il materiale che ho usato potrebbe farle infezione nonostante le precauzioni che ho tenuto.
«Sina, ti prego, continua a lottare. So che vuoi tornare a stare insieme ore e ore a Marco ma questo non è il modo. Pensi che sia quello che vuole? Pensi che ti chiederebbe di morire?! No, certo che no. Vorrebbe che tu continuassi a vivere...per entrambi» mi sfogo ormai esausta e portandomi le mani alle orecchie e appoggiando la fronte sulle ginocchia. Perché in quel momento ho sentito mio padre? Continua a non credere in me, mi odia. Cosa ho fatto? Perché non possiamo avere una relazione sana tra padre e figlia? Ho sempre cercato di accontentarlo in tutto fino al giorno che sono esplosa e ho lasciato casa per arruolarmi, forse la cosa migliore che abbia mai fatto nonostante tutto il dolore che ho provato. Sono cresciuta molto, non ho più paura di espormi e dire la mia opinione. Ora so scherzare e piangere senza sentirmi scomposta. Ho trovato degli amici, li ho anche persi, ma tutto questo mi ha fatto capire cosa vuol dire vivere. E ora che lo so non posso permettermi di vedere morire qualcun altro davanti ai miei occhi senza nemmeno provare a fare qualcosa. Ho lasciato andare già troppe mani che avrei potuto sorreggere ancora.
«Ti prego...» la scongiuro ancora per poi sentire la testa pesante e il corpo senza energie.

𝕄𝕌ℝ𝔸 {Jean x reader}Where stories live. Discover now