Plot

143 8 0
                                    

I see swimming pools and living rooms and aeroplanes
I see a little house on the hill and children's names
I see quiet nights poured over ice and Tanqueray
But everything is shattering and it's my mistake

Non sono mai stato un ragazzino paziente, anzi, tutto quanto riesce a farmi arrabbiare in pochissimi secondi. "Problemi di rabbia" direbbe qualsiasi persona avendo una conversazione con me, mi reputo fortunato da uno strano punto di vista a non parlare più coi miei coetanei, un ridicolo ammasso di deficienti troppo impegnati a postare la loro vita perfetta su instagram piuttosto che leggere tra le righe delle mie parole.

Le piastrelle bianche di questo posto sembrano sempre più vicine al mio corpo e mi sento soffocare ricordandomi l'odore del disinfettante di un bagno con le stesse piastrelle, non il mio ovviamente. Mani, mani bellissime, che mi afferrano il ginocchio e lo posano su una vasca da bagno e lo cospargono da quell'insulso liquido verde.

"Jeon!" L'ennesima voce che mi risveglia dai miei pensieri. Ormai non mi lasciano nemmeno pensare in pace. Mi alzo dalla sedia probabilmente rubata a qualche scuola elementare e mi avvio verso lo studio da cui proveniva quella ridicola voce irritante. La signorina mi fissa da dietro la scrivania dalla testa ai piedi, che problemi ha esattamente?? Mi sono sforzato anche per vestirmi decentemente. Una maglietta blu e dei pantaloncini bianchi che si abbinassero alla fascia sul mio braccio sinistro, la stessa che veniva portata su un braccio destro un pò di tempo fa.

"Allora, Jeon, come stai?" La domanda più stupida che si potesse rivolgere ad un 19enne costretto ad essere portato ad uno di questi incontri. Scuoto la testa osservando come fosse diverso questo studio dalla stanza in cui mi avevano fatto aspettare. Le pareti dipinte di bianco nascoste da mobili marroni, tremendamente vecchi, ma almeno danno un'aria più accogliente alla stanza. Forse è stato fatto apposta, sottoponendo questo luogo in un modo più accogliente per farti aprire e parlare con questa sconosciuta dall'orribile colore di rossetto. Non per qualcosa, sono del parere che ognuno possa conciarsi come vuole, ma ogni dettaglio di questa signora mi da un pretesto per odiarla. Fa una strana smorfia, probabilmente ha capito che non ho intenzione di rispondere a quella domanda, e si affretta a segnare qualcosa su un foglio di carta, scena già vista e rivista.

Chissa cosa stai facendo tu..

"Allora.. ho avuto il piacere di parlare coi tuoi genitori, Jeon, loro sono molto preoccupati per te." Certo, alzo gli occhi al cielo, sono cosi preoccupati per me che non si azzardano a domandarmi un semplice come stai o chiedermi semplicemente qualcosa, molto credibile. "Mi hanno anche raccontato di quello che hai dovuto affrontare questa estate e di come la tua vita sia stata stravolta." La signorina continua a parlare ma il mio sguardo è fisso sulle mie scarpe bianche che possiedo forse da quando avevo 13 anni o 16. "Come è stato affrontare il trascolo?" Domanda continuando a scrivere con quella dannata penna. Forzato, vorrei rispondere, ma sono cosi abituato a mordermi l'interno delle guance quando qualcuno mi parla che mi viene naturale restare in silenzio.

Erano solo i primi di ottobre e questa città era ancora cosi anonima per me, conoscevo solo gli studi di questi dottori e qualche bar dove i miei avevano deciso di portarmi.

"Jeon se non ti decidi a dirmi nemmeno una cosa non andremo da nessuna parte io e te." I miei occhi incontrano i suoi. Il suo trucco non è bello, è forzato, come se si sentisse costretta a truccarsi solo perchè è una donna.

"Io voglio solo andare a casa mia." La mia voce è cosi ferma, cosi decisa, come fanno gli altri a non comprendere il mio semplice desiderio?

"Potrai ritornarci solo quando avrai risposto ad alcune semplici domanda, okay?"

"Non quella schifezza di posto dove mi hanno portato i miei, io voglio andare a casa mia." Ti prego, almeno tu, comprendi il desiderio di un povero ragazzo, non essere come i miei e gli altri dottori che ho incontrato in questo mesetto.

"E quale sarebbe casa tua, Jeon?"

"Mokpo, lei lo sa, i miei gliel'avranno detto sicuramente."

"Si.." Fa una piccola pausa per continuare a scrivere su quell'odioso foglietto di carta. "I tuoi mi hanno spiegato un pò di cosette."

"Del tipo?? Intende la mia vita?" Sbotto furioso, questa sconosciuta non può prendersi il lusso di sminuire quello che è stato importante per me.

"Mi hanno detto che è stato un anno molto complicato per te e che vogliono aiutarti a riavere la tua vita. Dimmi un pò Jeon, ti manca la scuola?" Ma che razza di domanda è??

"No." Silenzio. Come potrebbe mancarmi un posto cosi frivolo? Ero amico di tutti a scuola, o almeno cosi pensavo, una volta uscito da quelle quattro mura nessuno mi ha più cercato, perchè non avevano più bisogno di me.

"Avevi degli amici a scuola?"

"No." Almeno cosi ho capito in questi ultimi mesi.

"E ora?"

"No." Ancora silenzio, l'unico suono nella stanza è quella odiosissima penna che scrive su quel pezzo di carta. E' visibilmente in difficolta, non sa più come avvicinarsi a me ed io sicuramente non le illuminerò la via.

"Seoul non ti piace? E' una città molto più bella di Mokpo, anche se manca il mare." La sua risatina è ancora più fastidiosa del suo scrivere.

"Dovrebbe piacermi solo perchè piace a tutti gli altri? Dovrebbe saperlo che non mi piace ciò che piace ai miei coetanei." Il sorriso malizioso sulle mie labbra mi aiuta con l'allusione che le mie parole volevano creare e la sua espressione impietrita mi confermano il successo del mio intento.

"Sa.. io avrei preferito andare a Busan, almeno li c'era il mare, ma i miei hanno pensato che mandarmi in una città grande e dispersiva come Seoul avrebbe potuto non farci incontrare.. anche se loro vogliono mandarmi a studiare in America, ma sono convinti che se ci andassi ora mi suiciderei, quindi vogliono farmi stare ""meglio"" prima." Mi aiutai con le virgolette per cercare di far capire meglio il mio discorso. La dottoressa davanti ai miei occhi si blocca di colpo per ciò che ho detto, mi fissa, poi riprende a scrivere, scrivere e ancora scrivere.

"Cosa intendi con stare meglio?" Domanda dopo troppi secondi di silenzio ed io mi lascio cadere sulla sedia convinto che nemmeno lei riuscirà a capirmi e resto cosi fin quando non arriva mia madre a prendermi.

FUUBUTSUSHI | TAEKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora