𝐮𝐧𝐨

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𝗟a pioggia aveva da poco cessato di battere rumorosamente contro i vetri del palazzo ospitante la redazione dell'Eco di Bergamo, e Giada aveva appena terminato di battere a computer l'articolo.

La collaborazione con la testata provinciale era cominciata ormai da due anni, e le permetteva di fare quella pratica di cui aveva bisogno se avesse voluto davvero realizzare il suo sogno, quel sogno: diventare giornalista sportiva.

Non aveva una tipologia precisa di articoli, scriveva qualche trafiletto di presentazione di tornei e partite, ma prediligeva la pallavolo, sport che aveva praticato da piccola. Il caporedattore della sezione sportiva del giornale le aveva aperto le porte della redazione permettendole di guadagnare qualcosa e di fare esperienza, in modo del tutto indipendente dallo studio universitario.

Una volta salvato in bozza il pezzo, si alzò dalla sua postazione; prese l'ombrello e la borsetta, quindi si avviò all'uscita, sapendo che il suo superiore si trovava in portineria. Passò il badge come di routine e imboccò le scale, dove incrociò proprio il caporedattore.

«Vince, l'ho messo in bozza, poi lo mandi tu in stampa giusto?»

Vincenzo era un po' basso e tarchiato, i baffi appena accennati e la barba ben curata. A pelle poteva sembrare il classico capo esigente, rigido e severo, ma in verità era un uomo molto alla mano, disponibile anche con la giovane stessa dato che ogni tre per due era presa da esami universitari e fitto studio in vista delle sessioni.
Annuì, portando le mani nelle tasche.
«Sì, non preoccuparti, me ne occupo io. Settimana prossima posso fidarmi a lasciarti un trafiletto sul giornale del sabato o sei presa?» domandò.

Giada si sistemò la borsa sulla spalla, riflettendo.
«Venerdì dovrei essere libera, perciò sì, lascia pure il posto per me.» garantì.

«Ottimo, se ci sono problemi ci sentiamo. Grazie Giada, buona serata.»

«Grazie a te Vince, alla prossima.» lo salutò, prima di abbandonare la redazione e tornare a casa in macchina.

Viveva da sola in un piccolo appartamento affittato unicamente per l'università, poco vicino alla sede della facoltà di lingue e letterature straniere moderne che frequentava.
Era infatti di Verona, e là risiedeva la sua famiglia: l'unico a farle compagnia era Pepe, il suo Maltipoo dal pelo color caffè.

Lasciata la macchina nel parcheggio sotto l'edificio in cui stava, salì nel proprio appartamento.
«Pepe! Sì, mi sei mancato anche tu. - sussurrò al cagnolino appena giuntole ai piedi per farle le feste - Andiamo a fare una passeggiata al parchetto prima di cena, sì?»

Pepe abbaiò contento, così si cambiò - non aveva intenzione di utilizzare ancora quella camicia scomoda che aveva indossato in redazione! - e poi uscì, la borsetta sulla spalla destra, il guinzaglio nella mano sinistra almeno finché non fossero giunti al parco, dove avrebbe liberato il povero Pepe, facendolo finalmente correre e divertire sul prato verde.

Avendo da poco smesso di piovere, c'era più fresco del solito, e quindi sopra la maglia a manica corta indossò una felpa aperta di una taglia più larga che aveva rubato a suo fratello quando era andato a trovarla lì a Bergamo, circa due settimane prima.

Al parco, tolse il guinzaglio a Pepe, che scodinzolando iniziò a passeggiare fiero in esplorazione del territorio.
Lei lo seguì a distanza, scrollando distrattamente le stories Instagram della gente che seguiva.

Ad un certo punto, sentì abbaiare. Alzando lo sguardo, vide il proprio animaletto che sembrava mordicchiare qualcosa ai piedi di un ragazzo seduto sulla panchina.
«No, Pepe. - mormorò, prima di rimettere in tasca il telefono e affrettarsi verso il cane - Pepe, torna qui!»

𝐅𝐀𝐕𝐎𝐋𝐄 || Matteo Pessina (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora