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Shinichi non aveva dormito.
Ciò che aveva scoperto appena poche ore prima di andare a letto non aveva smesso di tornargli in mente, nemmeno mentre leggeva "Il segno dei quattro" per cercare di prendere sonno.
Quando però si era reso conto di non aver capito niente di quello che aveva appena letto, si arrese e rimase sdraiato al buio con gli occhi spalancati, chiedendosi se fosse solo una coincidenza.
Ma sì, in fondo il suo cognome non era così raro. Era perfettamente possibile che Ran si fosse innamorata di un uomo proveniente da una famiglia Kudo. Certo, la cosa sembrava un po' una presa in giro, però...

Alle sei del mattino, quando il primo, timido raggio di sole fece capolino dalle tende, Shinichi decise di alzarsi. Si trascinò in bagno per sciacquarsi la faccia (e ne aveva proprio bisogno) poi scese in cucina per mangiare qualcosa.
Il tempo sembrava essersi rallentato. Doveva essere da Ran per le 8:15, ma erano solo le 6:30 quando terminò la colazione. Controllò la posta il più lentamente possibile e, nella cassetta, trovò il giornale fresco di stampa.
Si sedette sul divano del salotto, ancora in pigiama, e si mise a leggere le notizie del giorno. La cronaca era sempre uguale (furti, il caso di omicidio che aveva risolto il giorno prima, un caso di presunto rapimento...) e il detective si ritrovò a sbuffare. Non che preferisse leggere di tragedie e omicidi di massa, ma almeno una piccola novità sul caso dell'organizzazione lo avrebbe reso felice...

Quando chiuse il giornale e controllò l'ora, sospirò di nuovo: le 7:15.
E che diamine, aveva persino letto ogni singolo segno di punteggiatura per fare ancora più lentamente!
Shinichi ricordò che solo una volta nella sua vita si era sentito così impaziente (senza contare quando da piccolo i suoi lo portavano a comprare libri o era il giorno della gita a scuola): la prima volta che era uscito con Ran, prima che si mettessero insieme.
Erano ancora al liceo e certo, avevano fatto il tragitto scuola-casa insieme ed erano andati in biblioteca per studiare da soli tantissime volte... ma quella era la loro prima uscita per passare un pomeriggio insieme senza occuparsi di qualcosa che riguardasse la scuola.
Il detective lasciò il giornale sul tavolino da caffè davanti al divano e salì in bagno a cambiarsi e a lavarsi i denti.

Finalmente, alle 8:05, Shinichi salì in macchina. Non sentiva sonno, nonostante la notte in bianco, anzi, era sveglissimo. Aveva deciso di chiedere a Ran qualche informazione sul padre di Aika, giusto per chiarire i suoi dubbi.
In quelle ore gli era balenata in testa l'idea di essere proprio lui il misterioso papà, ma poi si era subito messo a ridere: impossibile. Insomma, lui e Ran erano sempre stati attenti...
Ci volevano dieci minuti di auto per arrivare all'appartamento. Per fortuna Shinichi non trovò traffico e dopo poco tempo stava già parcheggiando poco distante dall'edificio.

Uscì dalla macchina e, dopo averla chiusa a chiave, si avviò verso l'ingresso con le mani nelle tasche della giacca.
Suonò il secondo campanello dall'alto e noto che il suo nome era ancora lì. Ran non lo aveva tolto.
-Chi è? -chiese la voce della karateka dal citofono.
-Shinichi. -rispose lui. L'enorme portone d'ingresso si aprì.
Il detective decise di prendere l'ascensore, giusto perché erano le 8:15 del mattino e l'idea di farsi tutte quelle scale di prima mattina non lo rallegrava troppo.
Non incontrò nessuno dei suoi ex vicini. Meglio, non aveva molta voglia di sentire la signora Matsukawa parlare dei suoi gatti (aveva fatto l'errore di dirle "buongiorno" una mattina mentre facevano il trasloco e aveva passato le successive tre ore a sistemare l'appartamento con le chiacchiere della settantenne a tenergli compagnia) o il signor Katsuki raccontargli dell'ultima corsa di cavalli a cui aveva assistito (aveva sentito lo zietto fino alla nausea).

Quando finalmente suonò alla porta dell'appartamento, fu Aika, in punta di piedi per arrivare alla maniglia, ad aprirgli.
-Ciao! -lo salutò la bambina con un sorriso.
-Buongiorno signorina. Ho una consegna per lei. -rispose Shinichi abbassandosi al suo capo per mostrarle la targhetta dell'asilo che fino a quel momento aveva tenuto in tasca.
Sentendo quelle parole, Aika rise.
-Vuoi che te la metta io? -chiese il detective. La piccola annuì e osservò le mani dell'uomo attaccarle sulla mantella azzurra la targhetta con il suo nome.
Guardandola così da vicino, Shinichi pensò, ancora una volta, che quella bambina era tutta sua madre. Anche se gli occhi erano di un blu molto particolare.

La figlia di Shinichi KudoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora