capitolo 1.

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Mi ero addormentata su questo lurido furgoncino e non eravamo ancora arrivati. Avevo questa uniforme bruttissima grigia/azzurra, mi sentivo sporca e spogliata della mia persona pur essendo innocente.
Con un briciolo di coraggio mi alzai e chiedendo a una delle guardie se eravamo arrivati ma ottenni solo il silenzio. In quel momento il silenzio era il mio migliore amico, con lui ci parlavo ma nella mia mente, se no si che ero pazza. D'un tratto il furgoncino frenò di colpo facendomi cadere come un sacco di patate dalla panchina, non sono neanche potuta atterare decentemente perché mi avevano messo delle catene/manette su i polsi e caviglie, erano strettissime e facecano male. Si sentiva un grande frastuono da fuori e il mio migliore amico se ne era andato via, presentandomene uno nuovo, il rumore. Aprirono le due porte del furgoncino, facendomi accecare dalla luce del giorno, è si ero al buio senza neanche un goccio d'acqua. Mi presero per gli avambracci e mi fecero scendere giù, camminando a testa bassa e con fatica per via delle catene. Sentivo gli sguardi dei vari dipendenti su di me, i sussurri che ovviamente erano su di me, mi procuravano fastidio. Mi fecero entrare nell'edificio sul bianco e il grigio, io però non guardavo niente e nessuno, solo i miei piedi che in quel momento furono molto interessanti.

Dopo vari corridoi e curve sorpassate, sentì il rumore di una serratura, facendomi capire che ci eravamo fermati. Mi tolsero le manette su tutte due le mie parti del corpo, facendomi fare un grosso sospiro per il dolore che mi avevano procurato. Mi spinsero dentro nella cella umida e fredda e subito dopo mi chiusero dentro, non era una cella che si vedeva nei film polizieschi cioè con le ringhiere, erano tipo delle stanze ma molto più piccole, fatte con dei muri in cemento e con una piccola finetrella sulla porta. Avevo paura di sedermi su quel letto sudicio e ammuffito, avevo paura di cosa potessi trovare dentro a quelle coperte. Andai in un angolino e mi accasciai li e mi misi a piangere. Io non centravo nulla in tutto questo, ero finita qui per errore, mentre quella ragazza starà su un letto di un hotel a guardare la televisone, mentre io sono qui in un angolino a subire le sue atrocità. Voglio andarmene, voglio vedere la mia città in tutta la sua bellezza, voglio andare a trovare i miei genitori al cimitero, voglio stare sul mio letto con le mie calze pelose, voglio scrivere e leggere per la ventesima volta tutti i libri della mia libreria, voglio tornare semplicemente a casa.

Sentii la serratura aprirsi rivelando una guardia diversa da quelle che mi hanno portato qui. "È ora di pranzo, ti devo portare in mensa" si avvicinò a me e neanche facendo un minimo sforzo mi prese per gli avambracci, provocandomi dolore. Lui si accorse del mio malessere ma si limitò a guardarmi soltanto, e ci incamminammo per la mensa.

Eravamo dentro alla mensa, ma io non avrei toccato cibo, non ho fame in questo momento, sono troppo immersa e impaurita dai miei pensieri. Mi sedetti in un tavolo vuoto, gli altri pazienti stavano mangiando o giocando a carte in vari gruppetti, mentre c'era un tavolo, solo per le guardie che urlavano, giocavano, esultavano e ridevano, nessuno era solo come me, a parte un ragazzo. Si alzò e stava venendo verso di me, ma come ha fatto? non mi ha neanche visto entrare. Si sedette di fronte a me, io feci un saltino dallo spavento, e mi guardò, era bellissimo, aveva capelli boccolosi, lineamenti ben definiti, lunghe ciglia che circondavano meravigliosamente quei bellissimi smeraldi che aveva al posto degli occhi, scossi la testa levandomi dal mio stato di trans e ritornai in me.

"Ciao" mi salutò con quella voce roca ma dolce se si può definire così "c-ciao" sorrise e io ricambiai ma il mio sorriso stenta a ricambiare "sono Harry e tu?" Mi chiese ancora con il sorriso ma stavolta spuntarono due fossette meravigliose "sono K-katie" risposi mentre lui mi allungò la mano come gesto di presentazione, la mia mano si avvicinò tremolante alla sua mano e glie la strisi per poi ritrarla il più velocemente possibile. "Sei nuova qui?" annuì anche se gli volevo dire che ero innocente "non sei un tipo di molte parole vero?" Mi chiese con un sorriso e con quelle stupende fossette "beh no, sono abbastanza timida ma quando conosco le persone chi mi ferma più" dissi senza alcun problema di voce rispetto a prima "ooh hai detto una frase abbastanza lunga ora, è un passo avanti" risi e lui si unì a me. La campanella suonò facendoci capire che il pranzo era terminato. "Ciao Katie" mi salutò mentre io ricambiai con un sorriso sincero e lo salutai con la mano. La mia guardia si avvicinò a me e prendendomi per il braccio e portarmi verso la mia cella.

Per quella notte non dormì proprio bene, ero piena di pensieri e allora decisi di dedicarmi a loro, ma sapevo che ci sarebbero state nottate peggiori di questa. Mi svegliai dalle urla più forti dei pazienti, avevo un gran mal di testa, non solo per aver dormito per terra ma anche perché non ero abituata a vivere così. Mi vennero a prendere per un controllo in infermeria, ero preoccupata perche ho sentito bisbigliare da delle pazienti 'femmine', che chi aveva delle malattie o semplicemente i pidocchi, veniva portato nel reparto C. che io non so neanche cosa conteneva o cosa facevano li. Mi fecero entrare e una donna su i 55 anni mi sorrise, io ricambiai con timidezza ma lo feci. "Ciao cara tu devi essere Katherine giusto?" Mi chiese con un enorme sorriso sincero ma quasi terrificante "si ma per favore chiamami Katie" lei annuì ancora sorridente "io sono l'infermiera nonché psicologa, ma oggi devo controllare la tua salute" ero un po spaventa, ripensando alle chiacchiere diffuse in giro. Dopo circa 20 minuti aveva finito e mi guardò con il suo solito sorriso "sei fortunata sai? Non hai niente completamente sana" eh ci credo non sono quella che dovrebbe essere veramente qui. "Domani ti porteranno di nuovo qui ma per parlare quindi sarò la tua psicologa, beh non proprio tua ma anche di tutti gli altri" rise e io feci una risatina anche se non ci trovavo nulla da ridere nella sua frase. Mi portarono in mensa e stranamente mi sedetti davanti a Harry che era già li. "Ma chi si rivede!" Quasi urlò e ridemmo "ciao anche a te" dissi "inizi a parlare vedo" mi chiese mentre io feci un sorrisetto "mi sa che devo stare qui per un po di tempo quindi perché non farsi degli amici?" Chiesi ma la mia era quasi un'affermazione "già hai ragione" il suo sguardo si icupì, i suoi occhi persero il solito luccichio e la sua mascella diventò tesa "ho detto qualcosa che non va?" Scosse la testa ma guardò il tavolo e non più me. Cosa ho detto per farlo reagire così?

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