2- vattene

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Oggi il cielo è stranamente grigio per essere a luglio, ma comunque fa un caldo da morire. Si è creata una sorta di cappa su di noi che ci toglie quasi il respiro.
Le suole consumate delle mie scarpe tamburellano velocemente sul pavimento di legno della mia stanza: certamente il nervosismo si sta facendo sentire. Guardo il piccolo armadio che nasconde la valigia, chiedendomi se andarmene sia davvero la cosa più giusta da fare. Strizzo gli occhi respirando a fondo. Cerco di cambiare idea, è sicuramente la strada più facile da prendere. In fondo ho un tetto sulla testa e ogni tanto del cibo con cui soddisfare la mia poca fame.
Eppure una voce, nascosta tra i pensieri, si era fatta sentire più forte.

Vattene.

E ho deciso di ascoltarla.
Mi alzo dal letto con la decisa intenzione di svolgere, come sempre, le mie consuete abitudini. Voglio passare inosservata come tutti gli altri giorni e ci sarei riuscita perché sono brava a mentire.

Il corridoio è silenzioso, ma mentre mi avvicino alle scale sento una porta dietro di me aprirsi di scatto.

- Che fai, quattrocchi?- mi volto verso mio fratello che come al solito mi parla con tono scazzato. Con gli occhi incrocio una gamba nuda sul letto dietro di lui, non riesco a trattenere una smorfia di disgusto.
Poi quelle lenzuola avrei dovuto lavarle io, e non è mai una bella cosa da fare specialmente se sono di mio fratello.

- cosa guardi, mh?- mi sfida con lo sguardo. Col mio stesso sguardo. I suoi occhi nocciola si scontrano con i miei, che sono di un verde chiarissimo, e mi scrutano come se non fossi un cazzo davanti a lui. La sua muscolatura è possente, dopotutto ha 23 anni, e fa sembrare il mio fisico più piccolo di quanto già è.

Mi sistemo gli occhiali con fare nervoso.
Tranquilla, tranquilla.
- nulla- quando mi volto per iniziare a scendere le scale, lui riprende a parlare con la sua lingua affilata.
- vorresti essere scopata, eh?- mi arresto subito con una smorfia disgustata e mi volto di scatto, chiedendomi se lo avesse veramente detto. Se avesse detto questo a sua sorella... ma d'altronde è Gerard. Il grande, grandissimo coglione Gerard Allen.

- come, scusa?
- Oppure sei lesbica e la vuoi leccare?- continua sempre più divertito.
Scossi la testa mandandolo mentalmente al diavolo. Vuole solo innervosirmi per vedere una mia patetica, inutile reazione.
- nessuno ti vorrà mai. Ah, pulisci a terra in sala, ci ha vomitato la mia amica. Subito- e mi chiude la porta in faccia.

Maledetto, ti odio lurido bastardo!

Corro lungo le scale e, come aveva detto, la macchia di vomito è proprio lì davanti al portone di casa.

Che schifo. L'avrà fatta ubriacare ieri sera per portarsela a letto. Mi fa schifo.

—————

La porta si apre e si richiude con un frastuono che mi fa sobbalzare all'istante, sdraiata sul divano. Mi ero appena addormentata, dannazione. Sono così stanca che non capisco nemmeno come mi chiamo.

Sento dei passi pesanti e lenti verso la cucina, e per un attimo una scossa elettrica mi pervade.
- perché la cena non è pronta?- tuona quello che doveva essere mio padre. Il mio adorato padre.
Guardo l'ora sullo schermo del cellulare.
Le 20:20.
Raggiunge il mio sguardo confuso e lo ricambia con ferocia. Nascondo con determinazione ogni tremore, ogni timore.
- che cazzo sei stata a fare tutto il giorno?- si avvicina con passo pericoloso al divano, cosa che fa cominciare a battere forte il mio cuore.

Giuro che se continuerò a vivere, stasera me ne andrò.

È questione di resistenza. Devo resistere alle botte di mio padre e poi sarò libera. Quelle sono un rito ormai ogni volta che rientrava a casa: c'è sempre qualcosa che lo fa incazzare. O forse è soltanto la mia presenza a infastidirlo.
Quando mi prende per i capelli, dietro la mia visibile smorfia di dolore si accende una punta di orgoglio: devo andarmene contenta di non aver obbedito al maschio alpha di casa.

Marcisci all'inferno.

Sa bene dove farmi male e non fatica a sollevarmi dato che sono piuttosto mingherlina. Ma porca puttana se resisto. La forza di volontà è sicuramente il mio forte... tutte le altre cose no, a cominciare dalla fortuna.

—————

Sono un terremoto vivente lì sul mio letto. Tremo e fatico a stare tranquilla, in preda alle fitte lancinanti all'addome che l'indomani saranno ancora peggiori. Per questo non devo dormire: mi servono i muscoli caldi per andarmene questa sera.
Mi asciugo le lacrime che avevano preso a scendere lungo le guance attraverso gli occhiali, e guardo l'ora al cellulare.

Ci siamo.

Mi alzo seppur barcollando e mi faccio forza. Mi avvicino con passo svelto all'armadio, quindi apro le ante e prendo, sotto alla pila di coperte, la mia valigia.
Mi cambio in fretta e furia i vestiti, dopodiché prendo le ultime cose che mi serviranno, tra cui il caricabatterie e il computer, e metto tutto in un'altra borsa nera.
Come ultima cosa, prendo la scatola di metallo sotto al mio letto e la apro.
Metto i miei documenti nelle tasche dei jeans insieme ai 285 dollari che mi ero messa da parte, e poi vedo di sfuggita una foto che ritrae i miei genitori... non perdo tempo a fissarla che la strappo a metà e porto con me solo la parte che contiene mia madre.
Infine, con le forze che mi rimangono, esco in silenzio dalla mia camera alle 01:23 precise.

Papà e Gerard non otterranno nulla dalla polizia, in fondo ho 18 anni e per legge posso fare quello che mi pare.
Compreso andarmene di casa.
Non lascerò nulla qui dentro. In questa casa non ci sono ricordi, non ci sono risate, scherzi, giochi tra fratelli o tra padre e figlia o tutto quello che invidiavo delle mie compagne di scuola. Niente di niente.
Avrei portato via con me anche le lacrime, perché loro non si meritano nemmeno quelle, nemmeno il mio dolore.

𝓣𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓓𝓲 𝓣𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora