1.8 Universal tongue

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Crash!

Raven sobbalzò e sollevò gli occhi dal libro nel quale era completamente immerso, Phoenix abbassò i fogli del quotidiano e guardò oltre i vetri dei suoi occhiali scesi sul naso: Eagle aveva mandato in pezzi la ferrovia che stava pazientemente costruendo da giorni.

Non sapeva bene perché aveva distrutto quel lavoro. Forse solo per il gusto di fare rumore. C'era un silenzio troppo pesante in quella stanza e lui non riusciva più a sopportarlo. Era nervoso. Avrebbe voluto andare in giardino e mettersi a correre, ma era tardi e gli era proibito uscire a quell'ora.

Raven, dopo avergli lanciato un'occhiata infastidita, era ritornato alla sua lettura, ma Phoenix non aveva smesso di osservarlo. Eagle si sentì quasi obbligato ad accettare quello sguardo. Il vecchio signore, di fronte a quel ragazzino biondo che stava accosciato sul tappeto, attorniato dalle rovine di quella che doveva essere la sua opera d'arte, non poté fare a meno di rivolgergli un sorriso.

Eagle si domandò come Phoenix potesse essere sempre così tranquillo. Forse perché era vecchio, e i vecchi non devono agitarsi troppo, perché poi stanno male per giorni. Lui, invece, non riusciva a non sentirsi agitato. Era alla disperata ricerca di qualcosa da fare, voleva distrarsi, ma non ci riusciva.

Lei era lì. Anche se Phoenix era tranquillo e Raven continuava a ignorare il mondo.

Lei era lì. Non potevano fingere per sempre che non ci fosse, anche se si era nascosta come un animaletto braccato dai predatori.

Si era costruita un assurdo riparo con i cuscini della biblioteca, a ridosso di una delle pareti ricolme di libri, e se ne stava rincantucciata da ore. Eagle, di tanto in tanto, sbirciava in direzione di quel rifugio improvvisato, in attesa che accadesse qualcosa, ma nulla!

Quella situazione - lui, Raven e Phoenix che continuavano a comportarsi come se niente fosse cambiato, e quella creaturina scontrosa nascosta nel buio della stanza - cominciava a sembrargli assurda. Si avvicinò al vecchio Custode, puntellò il ginocchio sul divano e si arrampicò al suo fianco, lasciando penzolare le gambe dopo essersi seduto compostamente.

"Phoenix", lo chiamò cercando di arginare la sua vocina ancora squillante.

L'uomo abbassò definitivamente il giornale e gli rivolse la sua attenzione.

"Ma quella ha intenzione di restare lì per sempre?".

Phoenix ripiegò il giornale con cura, lo poggiò dall'altro lato del divano adagiandovi sopra gli occhiali, quindi passò il braccio attorno alle spalle magre di Eagle e lo avvicinò a sé, come se avesse voluto parlargli in confidenza.

"Quella ha un nome, Eagle", lo rimproverò dolcemente.

"Ok, Swan", si corresse il bambino, dopo un attimo di esitazione. "È che mi viene difficile chiamarla così. Swan era diversa".

"Lo so", rispose il vecchio signore, con una piega amara sul viso, "ma devi farci l'abitudine. Adesso è lei Swan".

"Eagle, sei sempre così sentimentale!", commentò Raven dalla sua poltrona, senza nemmeno sollevare lo sguardo dalla pagina.

Eagle gli rispose tirando fuori la lingua, tanto l'altro non lo guardava nemmeno. Phoenix rise sotto i baffi e diede un buffetto complice al ragazzino dispettoso. Subito dopo, però, ridivenne serio. Lo prese dalle spalle e lo girò verso di sé, per costringerlo a guardarlo negli occhi.

"Senti, perché non vai da lei e le dai una mano? Scommetto che è stanca e vuole andare a dormire".

"E perché non lo fa, allora, invece di restare lì?".

"Forse non sa come arrivare nella sua stanza. Perché non l'accompagni tu?".

"Ma, Phoenix... quella non sa nemmeno parlare, non si capisce un'acca di quello che dice!".

Laminae [SEQUEL di OPERA]Where stories live. Discover now