La sosta

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Sherry maledisse il party dal quale stava tornando: erano le tre del mattino, pioveva a dirotto, faticava a tenere la strada da quanto era sbronza e per di più aveva un bisogno dannato di andare in bagno. Colpa di tutto quel punch. La strada che stava percorrendo a bordo della sua berlina beige era tutta una curva e i fulmini sfarfallavano oltre l'intrico nudo dei rami che facevano da cupola ai lati del percorso. Aveva 


imboccato l'incrocio sbagliato, allungando la via di almeno un'ora, ma ormai se n'era accorta troppo tardi e tornare indietro non avrebbe avuto senso. La pioggia cadeva così impetuosa che il frenetico andirivieni dei tergicristallo era praticamente inutile. Stringeva le cosce, digrignando i denti per lo stimolo fastidioso che la tormentava da almeno venti minuti.

I fari illuminarono qualcosa che riuscì appena a intravedere. Ebbe un tuffo al cuore: le era parso di scorgere una persona addossata al tronco di un albero, ma era stato solo per un istante, forse anche meno. Non era neanche sicura di quel che aveva visto tanto si sentiva la testa ovattata e stordita. Fece una curva larga, schizzando acqua dalle pozze dell'asfalto rovinato e stavolta i fari illuminarono un muro azzurrino e una scritta balenò nel buio nebuloso. Un cartello che ondeggiava al vento informava che quella tozza costruzione azzurrina che sorgeva sulla collinetta era un bagno pubblico. 

Sherry fermò l'auto e fissò quella costruzione sferzata dal vento, costruita fra gli alberi spogli che agitavano le fronde nude come braccia ossute. Non era invitante per niente, aveva un aspetto squallido e dimesso, ma l'alternativa era farsela addosso entro qualche miglio, quindi decise di fare buon viso a cattivo gioco. Scese dall'auto e corse su per la collina, le scarpette eleganti che sdrucciolavano nella fanghiglia e sullo strato di foglie morte. Raggiunse la porta metallica chiazzata di ruggine e la spinse. Era pesante e per un attimo temette fosse chiusa a chiave, ma poi riuscì ad entrare nella costruzione umida e fredda. C'era un corridoio piastrellato sul quale si aprivano le tre porte azzurre dei cubicoli, piene di graffiti osceni. Opposti alle porte stavano tre lavandini ingialliti, uno dei quali spaccato e privo di rubinetto, sormontati da specchi oscurati e attraversati da crepe profonde. L'aria puzzava di orina, di abbandono, di umidità e di bosco. 

Cercò l'interruttore e lo trovò a fianco alla porta. Lo fece scattare e per un istante non accadde nulla, poi dall'alto venne un ronzio sordo di tensione elettrica e una lampadina sfarfallò la sua rancida e tenue luce giallastra. Sherry avanzò di qualche passo, gocciolante acqua piovana sul pavimento piastrellato, togliendosi qualche foglia morta appiccicata al soprabito ed evitando una chiazza d'acqua formatasi dallo stillicidio di gocce che cadeva dal soffitto. 

Alle sue spalle udì un botto e urlando si guardò indietro: la porta si era abbattuta per un colpo di vento. Nervosamente, la donna rise ed entrò nel primo cubicolo. Il water era intasato fin quasi all'orlo di melma bruna e schifata si affrettò a infilarsi nel secondo, che seppur sporco almeno non era così disgustoso. 

Si abbassò gonna e calze e sedette sulla tazza dopo averla ben foderata di fazzolettini. Il vento si abbatteva sull'edificio facendo tremolare i vetri delle minuscole finestre dei cubicoli, poste in alto. Sentiva i rami graffiare le grondaie come artigli di animale. Stava ancora decidendo se l'essersi fermata lì era una decisione assennata quando un suono le fece venire la pelle d'oca sulle braccia: la porta d'ingresso si stava aprendo lentamente, emettendo un lamentevole cigolio di vecchi cardini incrostati di sporco. Prima che potesse rassicurare se stessa dicendosi che era stato il vento a spalancarla, cosa peraltro impossibile visto il peso della porta, udì l'inequivocabile suono di passi flaccidi che si spostavano attraverso il corridoio, accompagnati da un respiro raccapricciante, rasposo, come quello di un animale. 

Impietrita, pensò che probabilmente un cane selvatico era entrato nel bagno pubblico. Eppure quei passi erano umani, anche se il suono che producevano sulle piastrelle era umido e bagnato, non certo rumore di suole, ma piuttosto di piedi nudi. 

CreepypastaWhere stories live. Discover now