catorce

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Il Camp Nou distava ancora diverse centinaia di metri, ma la sua imponente figura già si stagliava davanti agli occhi delle due ragazze, mozzando loro il respiro: era meraviglioso vedere quell’enorme stadio così massiccio e dall’aspetto rassicurante spuntare in mezzo alla folla urlante che già si accalcava agli ingressi.
“Vieni di qua” disse Lisa, strattonando l’amica per la maglia.
Anita dovette abbandonare i suoi sogni a occhi aperti e si accinse a seguire la compagna, decisamente più abituata di lei a farsi strada in quel luogo tanto gremito di persone.
“Non serve che passiamo per le biglietterie” precisò Lisa. “Io entro sempre dall’ingresso dei magazzinieri, ormai tutti mi conoscono.”
Finalmente, dopo aver dato e ricevuto una cospicua dose di gomitate, le due ragazze si ritrovarono in uno spiazzo tranquillo, privo di qualsiasi presenza umana. Anita si guardò alle spalle, timorosa che qualcuno le avesse pedinate e si volesse clandestinamente intrufolare dalla porta di servizio che loro avrebbero aperto.
“Non preoccuparti, nessuno ci ha seguito: chi vuoi che abbandoni la coda, dopo tutto il tempo che ha impiegato per guadagnarsi un posto abbastanza vicino ai cancelli?” rise Lisa, intuendo i pensieri dell’amica.
Nonostante le parole della ragazza avessero dovuto assumere un tono rassicurante, le due sgusciarono il più furtivamente possibile all’interno dell’edificio e, dopo essersi fatte riconoscere da un paio di buttafuori dall’aria piuttosto amichevole, percorsero alcuni corridoi illuminati da una fredda luce azzurrina. Finalmente sbucarono in una stanza spaziosa dalla quale si potevano imboccare diverse porte, ma Lisa non aveva dubbi riguardo la via da prendere e precedette l’amica lungo un nuovo passaggio, più largo dei precedenti, alla fine del quale si trovarono all’aperto, sulle tribune.
“Che spettacolo” commentò Anita rimirando gli spalti ancora perlopiù vuoti del grande stadio.
“Già” aggiunse Lisa, affiancando la compagna. “Vieni, scendiamo, mio padre ha detto che i nostri posti sono all’inizio della curva e dovremmo essere abbastanza vicine al campo da vedere bene i calciatori. Sai, in quella posizione i sedili non vanno mai a ruba, con un solo sguardo non si può abbracciare tutto il campo, e poi...”
“Chi è che non possiamo abbracciare?” esclamò preoccupata Anita che, già impegnata a fantasticare, non stava seguendo il filo del discorso.
Lisa scoppiò a ridere.
“Su, dimmi, chi vuoi abbracciare oggi?” chiese maliziosa.
“Io? Abbracciare? Ah, nessuno” si difese subito la ragazza colta in fallo. “Semplicemente non ti stavo ascoltando.”
“Come preferisci” commentò con tono intrigante l’amica. “Ma prima o poi lo scoprirò, stanne certa.”
Anita ebbe un attimo di esitazione, ma poi ragionò sul fatto che tenere per sé quel segreto non l’avrebbe di certo condotta alla realizzazione del suo sogno (ormai, tenuto conto delle poche possibilità di poterlo avverare, aveva deciso di chiamarlo così).
“Lisa, voglio che tu lo sappia” disse risoluta la ragazza. “Non ho scelto di venire a Barcellona perché mi piaceva la città, o la scuola, o perché avessi degli amici che vivono qui. Sono venuta a Barcellona per un motivo che non c’entra proprio niente: magari ti sembrerà un desiderio stupido, ma io voglio incontrare Pablo Gavi.”

Todo lo que quiero - Pablo GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora