Capitolo 4

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Mi fermai e mi voltai verso Max. Alle spalle, a una certa distanza, sentivo l'aura di Kurt che incombeva su di me.

«Abiti qui?» chiese Max.

«Sì.»

Alzò lo sguardo e lo lasciò scorrere, con una smorfia che esprimeva un certo disgusto, sulla parete scrostata dell'edificio e sulle terrazze sgangherate. «Ti auguro ogni bene, Livia» mormorò, senza cattiveria ma con un buona dose di tristezza. Il suo volto pareva fatto di luce oscura e misteriosa.

Stava per allontanarsi, lo sapevo. Ebbi l'impressione che la sua aura avesse assunto una sfumatura più scura, di cupa malinconia; non so perché, ma a quell'idea mi si strinse il cuore per il dispiacere.

«Aspetta» dissi, cercando di trattenerlo.

Lo afferrai per una mano e provai un improvviso shock.

Sia perché avvertii di nuovo quella bizzarra scossa, come se il suo corpo fosse animato da un'energia ultraterrena, ma soprattutto perché la sua pelle non era calda, ma appena tiepida.

Max s'immobilizzò come se con il mio tocco l'avessi avvelenato; mi guardò con una strana intensità. Dall'altra parte della strada, avvertii una specie di ringhio trattenuto da parte di Kurt.

Mi voltai ed ebbi la certezza che il tizio dall'aura dorata, ora di un inquietante arancio scuro, stesse per saltarmi addosso e ammazzarmi così su due piedi. Dovette averla anche Max, perché rivolse al proprio amico un'occhiata minacciosa, che riuscì per fortuna ad ammansirlo.

Kurt scosse la testa con aria scontenta; si addossò alla parete di un palazzo, cacciandosi le mani nelle tasche del giubbotto da aviatore.

Solo allora lasciai andare la mano di Max. Piano, con circospezione, per non scatenare l'ira del suo amico-rottweiler con un movimento troppo brusco.

Il nervosismo era ancora nell'aria, perché sia l'aura di Max che quella del suo accompagnatore roteavano come particelle impazzite. Soltanto dopo un bel pezzo cominciarono a quietarsi, tornando a essere le nuvole setose che avvolgevano i loro proprietari come bolle colorate.

Per un motivo incomprensibile non volevo che questi due ragazzi si allontanassero, sparissero nella notte e, ne ero quasi sicura, anche dalla mia vita. Nonostante fossero degli sconosciuti, con loro mi sentivo a mio agio. Protetta. Non potevo resistere alla tentazione di scoprire i misteri che li avvolgevano.

«Lo sai che siete strani, vero?» mi venne da dire.

Poteva sembrare un'affermazione da fuori di testa, e infatti, come temevo, sia Max che Kurt mi guardarono stupefatti.

«Strani in che senso?» domandò Max.

Cavoli. Tutto a un tratto provai il desiderio di essere muta e poter rispondere solo a gesti. O non rispondere nemmeno.

Abbassai lo sguardo e fissai il cemento della strada ricoperto di bozzi. «Strani» bisbigliai. «Dovresti sapere a cosa mi riferisco.» Se uno aveva un'aura che lo accompagnava a ogni passo doveva accorgersene, giusto? O magari ne avevo una anch'io e non lo sapevo.

Avevo proprio perso la ragione. Ero matta, e questi due ragazzi bellissimi lo erano più di me, a darmi corda e seguirmi in questa follia.

La tensione che provavano entrambi mi arrivò sotto la forma di un cambiamento nelle loro aure, un turbinio di colori dall'oro al rame per Kurt e dal grigio perla all'acciaio per Max.

Anche se... in fondo non capivo perché fossero così agitati. Avevano a che fare con una ragazza un po' stramba. Punto. Nulla di così trascendentale. Potevano voltarsi e filarsela, oppure malmenarmi e, già che c'erano, portarmi via la borsa.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now