Capitolo 41

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Ripeto: tutto a un tratto, sentii un ululato.

Schizzai in piedi con tanta foga che rischiai di ribaltare a terra il mio compagno di bevute e mi precipitai nella direzione da cui avevo sentito provenire il grido. Sgomitai tra coppiette che sfruttavano la scusa di ballare per tastarsi in ogni dove, superai un paio di ragazze del Dams che riuscivano nell'intento di danzare come forsennate, ridere a crepapelle e reggere con equilibrio alquanto precario dei vassoi pieni di bicchierini, oltrepassai i divanetti su cui ormai buona parte dei festaioli si era stravaccata per schiacciare un pisolino e feci irruzione in una stanzetta minuscola.

Doveva essere la cucina, anche se intravidi soltanto un mobile sbilenco, qualche cuccuma da caffè e un frigo che poteva contenere al massimo un vasetto di yogurt, da tanto era piccolo.

Non fu certo l'ambiente a catturare la mia attenzione, tuttavia, ma il fatto che Damian, il licantropo che era diventato l'anima gemella della mia amica Elena, incombeva su un povero disgraziato steso sul tavolo. Aveva un pugno alzato su di lui, pronto di sicuro a sferrarglielo sul muso e spedirlo in Paradiso per direttissima.

«Che cosa combini!» strillai, afferrandolo per un braccio e tirandolo via dal malcapitato così all'improvviso da farlo sbattere contro il mobile e ribaltare la confezione di biscotti che ci stava sopra.

Cavoli. Non credevo di avere abbastanza forza da strattonare via dalla sua preda un licantropo infuriato, ma non era il momento giusto per domandarmi se avessi acquisito dei nuovi, fenomenali superpoteri. «Cos'è successo?!» strillai piantandomi davanti alla vittima, che giaceva ancora di sghimbescio sul tavolo e sembrava sconvolta. «Non puoi aggredire la gente così!» proseguii all'indirizzo del licantropo, che mi guardava storto e un po' ansante, con un'espressione di lucida furia negli occhi.

«Togliti di mezzo!» mi gridò il dannato licantropo in questione, staccandosi dal suo angolo, facendo un paio di passi e piegandosi in avanti come se fosse pronto a sfoderare zanne e artigli nel pieno della festa, incurante delle conseguenze.

Lo afferrai per le spalle e mi misi sulle punte dei piedi per arrivargli a un orecchio, visto che era maledettamente alto. «Non fare stupidaggini», gli intimai, stringendolo forte per ricordargli che ero accanto a lui, lo sorvegliavo e non gli avrei permesso di rovinarsi la vita.

Damian scrollò la testa un paio di volte. Sentii che poco a poco i muscoli delle sue spalle si rilassavano sotto le mie mani. «Quello là non è innocente» replicò con un bisbiglio piuttosto feroce.

«No?»

«No.»

Oh. Tutto a un tratto capii.

Mi girai e lanciai un'occhiata a quello che avevo ritenuto un povero studente finito nelle mani di un licantropo con troppa voglia di menare le mani.

Non era un povero studente, in effetti, anche se dal modo in cui si stava spazzolando la giacca, per ripulirla dalle briciole di biscotti, sembrava più un giovincello con la passione per gli abiti costosi che una creatura sanguinaria che nelle notti di luna piena si trasformava in lupo. Ma in effetti la criniera di capelli folti e neri, le sopracciglia spesse e la fronte corrucciata non potevano che appartenere a un licantropo. Oltre all'aura rosso sangue, ovvio, che notai solo ora.

La vittima dell'aggressione fece spallucce, rivolse a me un'occhiata sorniona e al mio amico licantropo una ben più impudente, e se ne andò buttando là un noncurante ci vediamo in giro, accompagnato da un gestaccio.

A quella provocazione, Damian fremette per la collera; riuscii ad agguantarlo un istante prima che si fiondasse verso la porta e si gettasse nel salone delle feste per portare a termine la rissa di poco prima. «Non ci pensare neanche!» gli ordinai, con abbastanza energia da riuscire ad ammansirlo.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now