Capitolo 53

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Repressi un conato di vomito, m'imposi di serrare le narici e non respirare la nuvola di polvere in cui si trasformò il mio aggressore e mi rimisi in piedi con, sospettai, un'espressione omicida sul volto, visto come mi stavano fissando sia Marta che Elena.

«Ge...sù» bisbigliò Elena con un sospiro tremante, tergendosi il sudore sulla fronte con uno scatto nervoso del braccio. Il colore dei suoi capelli di oggi, un rosso rubino che alla luce incerta della fiamma somigliava fin troppo all'aura del vampiro che avevo appena eliminato, mi provocò l'ennesimo brivido di raccapriccio. «Se quello mi beccava ero fritta» aggiunse la mia amica.

«Non ti preoccupare. Ci sono qua io» tentai di scherzare, stringendomi il fucile al petto con tale foga da rischiare d'imprimermi la canna sul torace.

Non avevo mai pensato che, da studentessa modello che trascorreva le giornate china sui libri, mi sarei trasformata in una sterminatrice di vampiri.

Rischiavo di imbaldanzirmi troppo, a quel pensiero, e infatti appena svoltammo in un corridoio in cui era buio pesto cacciai uno strillo, accorgendomi che un paio di vampiri ci stava venendo addosso.

Il cuore mi mancò un battito, nel vedere che uno di loro si avventava su Marta. Rischiai di stramazzare al suolo per lo spavento, appena mi resi conto che era lo stesso vampiro che avevo visto all'università, quando avevo pedinato Kurt.

Marta cercò di reagire, tirando su il fucile con mani tremanti, ma non fu abbastanza rapida: il vampiro sbalzò via l'arma, che si schiantò contro una parete con un crack! assordante, e sollevò una mano, pronto a squarciare a metà lo stomaco di quel passerotto che era la mia giovane amica.

Nonostante le mosse che mi aveva insegnato Kurt mi fossero entrare sottopelle, da tanto mi erano divenute naturali, ero troppo lontana per intervenire con una movimento di kung fu. Presa dal panico alzai le mani, mi aggrappai al mio potere, scivoloso come un'anguilla e quasi del tutto inservibile, e slanciai il mio spirito in avanti, graffiando l'aura del vampiro quasi fossi dotata di artigli invisibili e soffici come aria.

In qualche modo riuscii a danneggiarlo, o almeno a catturare la sua attenzione, perché la belva si lasciò sfuggire un ringhio gutturale e si voltò verso di me.

Solo allora mi resi conto di quello che stavo facendo: avevo provocato una creatura ultraterrena che mi fissava con occhi ardenti e le zanne snudate, e che poteva fare davvero, ma davvero male.

Provai a replicare la mossa che aveva funzionato poco prima, gettandomi a terra ed esibendomi in una capriola da manuale, ma stavolta non fui abbastanza veloce: il vampiro m'intercettò a metà della rotazione e mi squarciò con gli artigli la tuta, buona parte della pelle che stava sotto e di sicuro anche parecchi muscoli di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza.

Reagii come avrebbe fatto una qualsiasi studentessa universitaria che si ritrova all'improvviso coinvolta in un guaio troppo grande per lei: cacciai un urlo stridulo e crollai a terra, tenendo una mano premuta sulla ferita e ansimando in preda al panico, con un dolore atroce che mi strillava all'altezza del ventre.

Fui a malapena consapevole del fatto che Elena e Marta, avendo unito le forze, erano riuscite a tempestare il vampiro più giovane con abbastanza colpi di verbena da ridurlo in ginocchio. Tirarono entrambe fuori i paletti, con un'espressione da guerriere che, se non fossi stata in tutt'altra faccenda affaccendata, mi avrebbero riempita d'orgoglio.

Perché in effetti ero davvero in tutt'altra faccenda affaccendata: stavo fissando il vampiro che incombeva su di me come un mostro demoniaco.

Una lacrima mi scivolò lungo la guancia, forse per il dolore o forse perché temevo che non sarei più riuscita a salvare Max dalla tortura eterna a cui sarebbe stato condannato. Serrai gli occhi in preda al panico.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora