Capitolo 50

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«Adesso mi dici dov'è andato Max» intimai alla vampira. Accostai la fiamma dell'accendino ai suoi capelli così tanto che mi parve già di sentire nell'aria odore di bruciato.

Vidi nei suoi occhi che voleva tacere, ma la capacità convincente del fuoco era superiore alle sue doti di resistenza. «È andato a consegnarsi ad Alaric!» confessò in una specie di ringhio. «Per evitare che tu fossi di nuovo in pericolo.»

Il modo in cui pronunciò quel tu, con un disprezzo corrosivo come acido, mi affondò nello stomaco, ma fu nulla rispetto al gelo che provai quando mi resi conto che il mio peggior incubo si era realizzato.

Max. Era andato a consegnarsi. Al suo peggior nemico.

Di nuovo.

E per colpa mia.

«Dov'è? Dov'è il covo di Alaric? Dove si nasconde?» strillai, questa volta senza riuscire a trattenere l'ansia e con il rischio di trasformare i capelli della mia ormai-non-tanto-futura-suocera in un falò.

La donna tentò per l'ennesima volta di ritrarsi, ma Kurt rafforzò la stretta sui suoi polsi al punto da rischiare di spezzarglieli. Avrei voluto mormorargli qualche parola di rassicurazione, visto che la sua aura sprizzava scintille di furia, ma scelsi di non trattenerlo in alcun modo.

«In periferia. Via degli Arcangeli. In una fabbrica disabitata» capitolò la donna.

Via degli Arcangeli. Mai nome era stato più inadatto per riferirsi al covo di un branco di vampiri.

Spensi l'accendino, svuotata di energie, e sopportai con dignità l'ennesima occhiata perfida della madre di Max. «E tu come lo sai?» chiesi.

Il sorriso sarcastico con cui la vampira accolse la mia domanda mi fece desiderare non tanto di darle fuoco, ma almeno di affibbiarle un ceffone. «Mi credevate una creatura inutile, non è così?» biascicò, con il veleno nella voce. «Invece ho anch'io i miei informatori. Anemone, per esempio.»

Anemone. Ma chi...?

Ah, sì. L'unica altra cameriera che avevo visto nella casa, e a differenza di Giulietta era così discreta da non aver quasi proferito verbo di fronte a me. Mi fu sufficiente un respiro per odiarla con tutta l'anima.

Ecco chi era il contatto della madre di Max con l'esterno. Chi costituiva i suoi occhi e le sue orecchie nel mondo al di fuori del palazzo, che lei non poteva vedere in prima persona.

Tutto quello che c'era da dire era stato detto. Avrei voluto dare forma ai miei desideri, riaccendere il fuoco e scagliarglielo addosso, ma lasciai perdere. Non aveva senso accanirsi su una donna che aveva coltivato rancore dentro di sé per cento anni.

Aveva più senso trovare il modo di rimediare ai suoi errori.

Kurt dovette intuire quello che stavo pensando, perché la lasciò andare di colpo; la buttò a terra, mi si precipitò accanto, mi afferrò per la vita e mi portò di peso fuori dalla stanza.

Si sbatté la porta alle spalle e richiuse i numerosi chiavistelli che costituivano la sua prigione. Solo quando dovette essere certo che fossimo al sicuro, mi liberò dall'abbraccio protettivo con cui mi aveva trascinato via e si accasciò con la schiena contro il muro. Non poteva ansimare, ma capii dal modo in cui chiuse gli occhi e abbandonò la testa all'indietro che era sconvolto quanto me.

Gli feci una piccola carezza sul braccio, cercando di confortare sia lui che me stessa. «Lo sapevi?» bisbigliai.

Kurt riaprì gli occhi e mi guardò con oceani di dolore negli occhi. «Sapevo che aveva tradito il padre di Max, tanti anni fa» replicò in tono lugubre.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now