Capitolo 29

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Sapevo che Max e De Lauris si conoscevano e avevano avuto un colloquio, anche se il mio adorato mezzo vampiro non aveva voluto fornirmi i dettagli della conversazione. Sapevo che il professore era a capo di una setta esoterica, nonostante la sola idea mi facesse sbellicare dalle risate.

Quello che non sapevo era perché avesse deciso di convocarmi nel suo studio personale.

Entrai e mi sedetti. Ero già stata lì una volta, e non mi fu necessario esaminare l'ambiente per rendermi conto che non era cambiato nulla: i libri tecnici erano riposti sugli scaffali in ordine impeccabile come sempre, il quadro con il logo dell'università era perfettamente allineato al centro della parete dietro la scrivania, il computer era così lindo che in confronto il mio portatile, sempre impolverato e pieno di bricioline delle gallette di riso che mangiavo mentre studiavo, sarebbe corso in un angolo a nascondersi per l'imbarazzo.

Il professore si sedette con nonchalance dietro la scrivania. Mi rivolse un sorriso abbagliante, da modello di uno spot pubblicitario di integratori per uomini di mezza età, e si aggiustò gli occhiali sul naso con un gesto che, immaginai, aveva perfezionato negli anni fino a renderlo magnetico. Chissà perché, tutto a un tratto me lo figurai seduto in un'enoteca, con un bicchiere di vino rosso in mano e intento a conquistare una donna con il suo eloquio, anziché seduto in questa stanza con me.

«Hai delle nuove... frequentazioni» disse.

Per poco non spalancai la bocca per la sorpresa. Pensavo che avrebbe commentato la correttezza delle domande che gli rivolgevo durante la lezione, non il fatto che me ne andavo in giro con vampiri e licantropi.

Era un colpo basso, per cui incollai la schiena alla sedia, per resistere all'impulso di alzarmi e scappare, e mi rifugiai nella contemplazione delle mie unghie mangiucchiate. «In che senso?» replicai.

La miglior difesa è reagire con una domanda. L'avevo letto da qualche parte.

Lui mi scoccò un sorriso con l'intento, ne ero sicura, di ammaliarmi, anche se ero del tutto certa di poter resistere ai suoi tentativi di seduzione. «Ho visto degli individui pericolosi, da una settimana a questa parte, al tuo fianco» commentò. «Cattive compagnie ti condurranno a risultati peggiori nei tuoi studi. Dovresti saperlo.»

Accidenti; il prof era un volpone. Sapeva che accennare a una riduzione delle mie capacità di studio mi avrebbe mandato nel panico. «Non so a chi si riferisca» mentii.

«Ai tre ragazzi che sono sempre vicino a te» replicò lui, diretto. «Quello con il giubbotto da aviatore, quello che veste sempre di nero e quello che sembra un selvaggio.»

Bella descrizione, pensai, resistendo a fatica all'impulso di mettermi a ridere. «Sono semplici studenti» dichiarai. «Non li conosco. Credo che si siano trasferiti da poco.»

Non dovevo essere granché brava a mentire, perché il professore strinse la mandibola, come se non mi credesse, e aggrottò la fronte in un'espressione tesa.

Sembrava che la mia relazione con Max e gli altri gli stesse particolarmente a cuore.

Ma perché?

Mi resi conto che il professore mi stava guardando con un po' troppa insistenza. Che fosse un telepate come Astarte? Eppure, per quanto mi sforzassi, non colsi alcuna traccia di aura magica, a circondarlo. Più probabile che avesse seguito un corso di ipnotismo e fosse convinto di potermi ammaliare con le sue doti di persuasione.

Pivello! Non sapeva che, sotto la direzione di Astarte, mi ero fortificata al punto da diventare immune a certi trucchetti.

Decisi di stare comunque al suo gioco e vedere dove intendeva portarmi. Finsi di rilassarmi, sotto la sferza di quel suo sguardo acuminato, anche se in realtà avevo tutti i sensi all'erta.

Il ragazzo con l'aura d'argentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora