Capitolo 7

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Con tutto quel parlare, e cercare di cavare dalla testa di Kurt i misteri che avvolgevano lui e Max, era trascorso l'intero pomeriggio.

Quando uscimmo dal dipartimento, era buio.

Meglio, visto che, a quanto mi era sembrato di capire, Kurt detestava il sole diretto e cercava sempre di ripararsi nei sottoportici o nei corridoi dell'università.

Peggio, dal momento che un possibile stalker piuttosto fuori di testa per l'agitazione correva per i vicoli della città tirandomi dietro come se fossi un carretto, senza accennare a diminuire l'andatura né fornirmi alcuna spiegazione del perché fosse così agitato.

Avevo il fiatone, a forza di corrergli dietro. Tentai di liberarmi dalla sua stretta, che cominciava a fermarmi la circolazione, ma Kurt, anziché lasciarmi andare, la rafforzò, neanche fossi una preda nelle sue grinfie.

Si fermò solo quando raggiungemmo la Casa degli spiriti, come avevo ribattezzato l'edificio in rovina in cui mi era sembrato di capire che abitassero lui e Max. Non era cambiato granché: il giardino era un disastro, con erbacce e rampicanti ovunque, le imposte chiuse e i cornicioni sul punto di sbriciolarsi.

Solo che stavolta Kurt aprì il cancello, mi spinse dentro, se lo richiuse alle spalle e mi costrinse a sedere su una panchina di marmo scomoda e gelida.

«Resta qui» abbaiò lanciandomi un'occhiata a metà tra l'inferocito e lo spaventato. «Non ti muovere» ribadì, come se fossi dura d'orecchio.

Poi fece di corsa il vialetto, saltando sulle pietre sconnesse così irregolari che sarebbe stato un attimo inciampare e battere la testa sul basamento di una statua, aprì il portone d'ingresso inserendo la chiave in una serratura che doveva avere tipo due secoli, entrò e chiuse la porta.

Mi ritrovai sola, in un giardino che non sembrava del tutto amichevole, a domandarmi cosa diavolo fosse successo.

Perché Kurt credeva a tutto quello che dicevo, anche quando gli confessavo le cose più strane? Perché si era spaventato così tanto, quando gli avevo parlato dell'aura grigia? Perché mi aveva portato a casa sua, ma mi aveva lasciato fuori dalla porta?

E perché quel giardino, con i vialetti mal curati, le statue corrose dal tempo, la fontana desolata senza acqua né pesci, sembrava il ritratto della malinconia e del dolore?

Non sapevo spiegarmelo, ma prima che avessi il tempo di riordinare i pensieri udii dei rumori soffocati all'interno della casa.

Le voci erano quelle di Max e Kurt. E, senza alcun dubbio, stavano litigando.

Per colpa mia?

Mi scappò un sorrisetto, all'idea di aver messo l'uno contro l'altro due ragazzi che parevano legati da un'amicizia indissolubile, ma quando il portone si aprì di nuovo e sulla soglia comparve Max mi passò del tutto la voglia di ridere.

Pareva fuori di sé per la rabbia.

Max divorò il vialetto e mi raggiunse in due passi, seguito da un Kurt che, se fosse stato un cane, avrebbe di sicuro avuto la coda tra le gambe da quanto sembrava contrito.

«Perché l'hai portata qui?» sbottò Max, rivolto al suo amico.

Kurt si strinse nelle spalle con un'espressione infelice. «Non sapevo cosa fare!» si giustificò. «Ha visto quel Dämon, non potevo lasciarla da sola.»

Dämon? Che razza di parola era? Questa cosa che Kurt, ogni tanto, si metteva a parlare in tedesco era snervante. Ma non ebbi tempo di ragionare oltre su quella stranezza perché Max lo aggredì, afferrandolo per il giubbotto di pelle e scrollandolo con energia.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now