Capitolo 17

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Stare lontana da Max. Non era poi tanto difficile, considerato che quel palazzo era immenso, ma restava il fatto che lì dentro ero più o meno prigioniera, per cui potevo spostarmi a mio piacimento ma non, che so, uscire, tornare a casa mia e mettermi a studiare.

Era deprimente pensare che la massima idea di libertà che avevo nella vita fosse sedere nel salotto del mio appartamento, grande un metro per uno, e studiare tutta la notte.

Le parole di Max mi avevano fatto male. Non riuscivo a smettere di pensarci. Avrei preferito che mostrasse un po' di fiducia nei miei confronti, visto che, sebbene lo conoscessi da pochi giorni, avevamo già condiviso tanto. Avrei voluto che mi raccontasse qualcosa del suo passato e di tutti i misteri che lo avviluppavano con più tenacia della sua aura, o almeno che mi spiegasse perché cercava di tenermi a distanza ma, al tempo stesso, di proteggermi e impedire che mi succedesse qualcosa di terribile di cui non voleva parlarmi.

Soprattutto perché non avevo idea di quale fosse il pericolo da cui dovevo tenermi lontana.

Emisi un sospiro, decisi di fingere che l'affare Max non mi tangesse in alcun modo e me ne tornai piuttosto sconsolata verso quella che era diventata la mia stanza, sbagliando strada un paio di volte e finendo per imboccare due corridoi nuovi più inquietanti di quelli che conoscevo già, dal momento che i ritratti appesi alle pareti erano ancora più antichi e raffiguravano uomini con un cipiglio arrogante che non mi andava a genio.

Aprii la porta della camera e provai un istante di sollievo, anzi quasi di felicità: i miei libri erano impilati con cura sullo scrittoio, di fianco a una lampada accesa che proiettava nella stanza una luce calda che pareva invitarmi a trascorrere la notte nel mondo dello studio.

Benedetta fosse per sempre Giulietta, che dopo aver... ehm... donato il proprio sangue a Kurt, aveva trovato tempo ed energie per salire la scalinata che portava al primo piano e trasferire tutto quel peso nella mia stanza.

Mi accomodai sulla sedia, aprii il libro di Fondamenti e m'immersi nello studio, decidendo che avrei lasciato all'indomani tutti i pensieri che mi affollavano la mente.

Perché Max era così prezioso per il mondo dei vampiri? Cos'aveva di diverso il suo sangue, al punto da poter rigenerare il proprio amico dopo il morso di un licantropo? Cosa voleva dal capo di una setta di esoteristi?

Perché voleva salvarmi da un pericolo che nemmeno potevo immaginare?

***

L'indomani non fu chiarificatore come mi ero aspettata. A colazione Max non si fece vedere, e quando chiesi a Kurt che cosa fosse successo mi rispose con un vago «deve riposare» pronunciato con espressione scontenta che accrebbe la mia ansia, anziché tranquillizzarmi.

Mi rassegnai a divorare i miei pancake con un po' meno entusiasmo del solito, guardando delusa l'ingresso della sala da pranzo e sperando in ogni istante che Max facesse capolino, mi lanciasse un'occhiata che da sola mi avrebbe fritto il cervello e si sedesse accanto a me.

Trangugiai l'ultimo boccone, mi concentrai su Kurt, che durante l'intero pasto mi aveva fissato con un'espressione strana, poi raccolsi tutto il coraggio che avevo.

«Devo andare a lezione» stabilii, in tono abbastanza determinato da far risuonare la mia voce, temetti, in ogni stanza del palazzo.

Kurt si irrigidì. Vidi l'evoluzione dei suoi pensieri come se li avesse scritti ben chiari sulla fronte: la necessità di difendere Max da ogni pericolo, e quella di rispettare l'ordine di Max di difendere me da ogni pericolo, cozzavano l'una contro l'altra nella sua testa.

«Perché?» chiese dopo un lasso di tempo interminabile.

«C'è bisogno di una ragione?» ribattei con un'aria spavalda che, mi accorsi dopo un istante, avevo imparato proprio da lui.

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now