Capitolo 36

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Assurdo. Stavamo parlando di una persona che si vantava di essere in contatto con gli spiriti, e l'obiezione più sensata che mi veniva in mente era disquisire sul genere di appartenenza del suo appellativo.

Mia madre, come mi aspettavo, liquidò la mia protesta con un gesto frettoloso delle mani. «Non stare lì impalata; aiutami con queste» decretò, indicando la massa di valigie depositate in ogni angolo dell'ingresso. «Portiamole di sopra, nelle camere.»

Finalmente il mio cervello si era sbloccato dall'impasse e cominciava a riflettere sugli indizi che avevo davanti agli occhi. «Di chi sono queste valigie?» domandai mentre entravo nel salone, afferravo il primo bagaglio che mi trovavo a tiro e recitavo una serie di imprecazioni in aramaico per quanto era pesante.

«Ma dei partecipanti all'evento, no?» replicò mia madre prendendo due valigie alla volta e cominciando a salire le scale che portavano al piano di sopra.

«Quale evento?» insistetti mentre arrancavo su per i gradini, già a corto di fiato per l'ingombro di quel bagaglio pesante quanto un pachiderma.

«L'evento che abbiamo organizzato io e tuo padre» rispose la mamma infilandosi nella prima camera del piano superiore.

Come d'abitudine, quando si sentiva a disagio rispondeva alle mie domande in modo sempre più conciso.

«Di quale evento stiamo parlando?» sbottai, lasciando andare la valigia con un tonfo sul pavimento e incrociando le braccia sul petto.

Mia madre non gradiva il mio tono inquisitorio, lo sapevo bene. Posò i bagagli a terra e prese tempo inspirando con enfasi, di sicuro applicando una qualche tecnica di respirazione yogica per ritrovare la tranquillità.

Poi, mi sganciò addosso la bomba.

«La meditazione collettiva di richiamo della dea egizia Hathor, per garantire a tutta l'umanità gioia e amore.»

Ero abituata ad affermazioni strampalate da parte di mia madre. Di solito finivano con un litigio, ma... Ehi, era venuto fuori che vedevo le aure! Chi ero io per giudicare l'operato esoterico degli altri?

Presi un respiro profondo, imitando senza quasi rendermene conto l'inspirazione di poco prima di mia madre, poi dichiarai: «Bene, fate pure. Io vado nella mia stanza.»

Ero convinta di aver parlato in modo ragionevole, cosa che di sicuro stupì mia madre, abituata alle mie fervide proteste quando lei e papà intraprendevano attività così stravaganti, ma l'enfasi con cui reagì, trasalendo in maniera evidente, era davvero troppo.

«Ehm... Veramente...» iniziò mia madre.

Tacque subito dopo, ma ormai mi aveva messo in allarme.

«Cosa c'è ancora?» proruppi, smarrendo per strada il tono conciliante.

Mia madre sobbalzò e si lasciò sfuggire un grido, che per un istante mi fece sentire la figlia più ingrata del mondo nonché un'irrimediabile guastafeste. «Allora?» la incalzai.

Mi stavo comportando in maniera odiosa, me ne rendevo conto. Ma negli ultimi due giorni ne avevo subite troppe, per sopportare con la pazienza di un monaco zen le stramberie della mia famiglia.

«Mi dispiace, tesoro,» bisbigliò mia madre, «ma non puoi andare nella tua stanza.»

«Come sarebbe a dire?» sbraitai, a questo punto di sicuro con l'espressione di un vampiro assetato di sangue. «Perché non posso andare in camera mia?»

«Perché nella tua camera ospitiamo le figlie della contessa Pigarelli Magnanis, che finanzia l'evento» rispose mia madre.

***

Il ragazzo con l'aura d'argentoWhere stories live. Discover now