Capitolo 29 parte 1

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Althea pov's
Quella confessione mi pesava sulla coscienza più del fatto stesso. Sentivo le lame affilate delle sue domande poggiarmisi sulla schiena e creare graffi poco profondi, da cui la verità non voleva ne poteva uscire. 'Ho commesso un omicidio, te ed io non siamo così diversi'

Questo avevo detto, ed ora quelle parole mi raschiavano i timpani più di quanto avessi voluto. Non mi ero mai pentita di quello che avevo fatto, ne avevo cercato di trovare una giustificazione al mio comportamento.

Sognavo ogni notte l'uomo che aveva posto la parola fine alla vita degli abitanti del mio villaggio. Ricordavo alla perfezione ogni particolare.

La linea che disegnavano le spalle, gli occhi ambrati, iniettati di sangue, potevo vedere a distanza la giugulare che gli pulsava di rabbia sul collo.

Si era voltato e per dei secondi interminabili, avevo trattenuto il fiato, convinta che mi avesse vista nonostante fossi nascosta sotto a dei corpi senza vita. Dopo poco quegli occhi si erano spostati sul prossimo obiettivo mentre io pregavo ogni Dio esistente o meno di porre fine a quello scempio.

Quella notte non avevo potuto fare niente, paralizzata dalla paura. Le gambe erano bloccate sotto il peso di quei corpi, che erano molto più opprimenti nella mia mente che nella fisicità.
Caleb si voltava di rado a vedere come stavo, mi aveva superata per indicarmi la strada, la realtà era che neanche lui voleva parlarne, sperando che nella sua mente potesse animarsi la figura di ragazza ingenua e fragile che tanto piace ai nostri uomini.

Ci addentriamo nell'ennesimo bosco, abbastanza tristi di non poter più godere del calore del sole, ma felici al contempo, per la possibilità di avere cibo facilmente raggiungibile.

Le sfumature di verde mi aiutavano a distendere i muscoli, i boschi mi avevano sempre rilassata.

Fin da bambina adoravo la solitudine. Alec, invece, ne era terrorizzato, parlava persino nel sonno pur di non rimanere mai da solo.

Nostro padre ripeteva continuamente "Non bisogna essere obbligati a stare da soli, ma scegliere di vivere delle esperienze così"; lui era l'emblema della solitudine. Circondato da amici e conoscenti, aveva sempre bisogno di prendersi dei momenti di distacco da tutti e concentrarsi. Spesso venivano coinvolti anche Alec ed io in questa pratica.

Nel bosco non c'è mai silenzio, è sempre animato da qualcosa. Il cinguettio degli uccelli, il frusciare delle foglie, l'acqua che scorre in un ruscello. C'è sempre almeno un rumore ad animare quei luoghi. Questo invece era uno dei boschi più silenziosi che avessi mai sentito.

<<Caleb?- lui si volta verso di me con estrema naturalezza -Cos'è questo posto?>>

<<Cosa vedi tu?>> mi chiede in tono neutro.

<<Un bosco decisamente silenzioso.>> gli dico e lui sorride.

<<È un semplice bosco come tanti altri...c'è un unico essere che vive più avanti.- aggrotto le sopracciglia e da qui in poi i nostri passi si fanno sempre più leggeri e le parole praticamente sussurrate -Lo chiamano "Rapax">>

<<Sul serio? Un Rapax?>> abbassa ancora di più la voce ed ora l'unica cosa che sento è un bisbiglio.

<<È meglio non saperlo...questa è una scorciatoia.>> mi fa segno di tacere ed io obbedisco sentendo la stretta della sua paura allo stomaco. Fin da bambina mi ero sempre sentita addosso le emozioni altrui, le avevo vissute per prima sulla mia pelle, e non ero più riuscita a guardare mio padre allo stesso modo quando avevo sentito un sentimento nel cuore della notte che risaliva fino alla bocca dello stomaco. Non era disgusto, ne paura, era qualcosa che non avrei mai pensato che potesse provenire da lui. Era pietà.

La guardia del reDove le storie prendono vita. Scoprilo ora