Capitolo diciottesimo

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Sophie fece strada a Vincent fino alla stanza dove riposava il signor Ernest, dopodiché si mise all'angolo per lasciargli un po' di intimità mentre provava ad alimentare nuovamente il fuoco nel caminetto con della legna. Il cuore le batteva forte e l'immagine di Vincent davanti ai suoi occhi appariva ancora come una fantasia da quanto pareva irreale; trattenne dentro un fiume di parole e di domande che voleva porgergli, con un'intensa curiosità per tutto ciò che aveva passato. Ma la salute del padrone di casa, di cui potevano essere gli ultimi istanti, aveva la precedenza su tutto; la ragazza si limitò dunque a un momentaneo e rispettoso silenzio, rivolgendo il pensiero a Dio per rasserenare il più possibile quegli ultimi attimi.

«Nonno, sono io...» sussurrò Vincent, togliendosi il cappotto bagnato e sedendosi al capezzale dell'anziano, e prendendogli una mano grinzosa e violacea, «Sono Vincent.» ribadì. Ernest riaprì gli occhi tutti lucidi e si voltò verso di lui lasciando scendere alcune lacrime di commozioni.

«Figliolo, alla fine sei tornato davvero... credevo sarebbe stata una menzogna...»

«No, nonno. Non avrei mai potuto. Sono in carne ed ossa accanto a te.»

L'anziano sorrise col suo viso stanco e malato, e poi disse: «Ne avrei sofferto se non fossi più riuscito a vederti, grazie a Dio sei a casa.» Vincent rimase in silenzio accanto a lui con un'espressione che non voleva lasciar trasparire i propri sentimenti e che, come immaginò silenziosamente Sophie, doveva celare un grande dolore. «Ascoltami. Volevo chiederti scusa a nome di tuo padre, di mio figlio» disse l'uomo dopo un altro colpo di tosse secca che gli spezzava il respiro.

«Non sei tu a doverti far carico dei suoi affari, nonno. Non ti preoccupare di lui.»

«Lo so,» ribatté il nonno con voce rauca, «Ma ti prego di accettarle comunque. Mi sento responsabile per ciò che non ho potuto dare a entrambi...»

«Non è una colpa, né tanto meno può essere una scelta, non poter dare quello che non si ha. Semplicemente è una condizione naturale della vita.» rispose Vincent, «Tu mi hai dato tutto ciò che potevi, come anche la nonna, e vi sono riconoscente.»

Il signor Ernest abbozzò un sorriso, «Sono felice che tu sia così diverso da tuo padre. Lui ha fatto innumerevoli errori facendo soffrire tutti noi, ma voglio chiederti comunque di perdonarlo...»

«Non me lo puoi chiedere.» ribadì grave Vincent, cercando comunque di mantenersi pacato.

«Il fatto è che sono stato io, molti anni fa, a far capire a tuo padre quanto ci mancasse. È successo proprio quando ha conosciuto tua madre e la sua famiglia per la prima volta.» iniziò a raccontare il padrone di casa. Vincent fece un leggero sospiro e rimase con lo sguardo spento, quasi annoiato, di chi non vuole ascoltare nulla, ma l'anziano continuò dicendo: «Ascoltami, ascoltami. È accaduto due anni prima della tua nascita, Vincent; mi ero recato con George per una visita al padre dell'attuale conte Harrington, parlo di quello che era il tuo bisnonno, che aveva una forte influenza; essa non gli causò comunque la morte visto che è vissuto per un'altra decina di anni. Quel giorno tuo padre che era con me per imparare e osservare il mio mestiere, conobbe solo lo sfarzo e la meschineria di chi era di un ceto sociale più elevato del nostro; si imbatté nell'indole maligna dell'erede del casato, il fratello maggiore di tua madre, che si fece scherno di lui. Ebbero una discussione violenta a cui ho avuto il dispiacere di assistere, ma che non sono stato in grado di placare in nessun modo. Credo che sia stato in quel frangente così acceso che in George nacque la malsana ambizione di puntare ad ottenere un titolo nobiliare, per riscattarsi davanti ai nobili che lo avevano deriso. Voleva essere più di quello che era, o almeno così credeva di diventare. Il destino volle che il mezzo per la sua arrampicata fu proprio la sorella dell'uomo che aveva detestato; tua madre in qualche modo era rimasta affascinata, durante quella discussione, dal carattere e dalla passionalità di tuo padre; ne prese infine pure le parti facendo infuriare il fratello. Non so in che modo si siano rivisti dopo quel giorno, so solo che l'anno successivo si sposarono in segreto e che quello seguente nascesti tu...»

Vincent mantenne il silenzio e lo sguardo vagante. Il signor Ernest riprese fiato e continuò il suo racconto, che anche Sophie tentava di seguire in disparte: «I suoi piani però non andarono come desiderava. Non ottenne alcun titolo o eredità da quel matrimonio. Come già sai, figliolo, tua madre venne diseredata...»

«Era ovvio che finisse così, è stato lui uno stupido a non arrivarci.» interruppe malvagio Vincent, «Come è stato sciocco da parte sua credere di poter ritrovare la simpatia di suo suocero attraverso me, l'unico discendente maschio della casata visto che dall'altra parte ha una sola nipote femmina. Che sia dannato.» si lasciò sfuggire un'imprecazione nei suoi confronti, abbozzando un sarcastico sorrisetto.

Il vecchio lo fissò con gli occhi lucidi, drammatico, e poi ne strinse con tutte le forze le mani.

«Tuo padre è già stato punito dalla sua stessa ambizione; le sue sciocche decisioni non hanno giovato in alcun modo nemmeno a lui. È stato vittima di sé stesso. Abbandona il tuo risentimento per una persona già punita; devi liberarti da lui, perché l'ira è stato anche il suo peccato, ciò che lo ha condotto allo smarrimento!»

«Né la sua stupidità, né null'altro, può giustificare in alcun modo il suo egoismo.» ribatté quasi tra sé e sé Vincent. Il nonno allungò il braccio con un immenso sforzo per dargli una carezza sul viso barbuto e quasi irriconoscibile.

«Dimmi che riuscirai a perdonarlo...» insisté.

Vincent stette in silenzio, osservando gli occhi addolorati del parente che lo cercavano.

«Figliolo...» delirò ancora l'anziano, «Ricordati che tu non sei nato solo per essere uno strumento di tuo padre, la tua vita non è stata solo un mezzo per cercare di compiere i suoi bramosi progetti. Tu... la tua vita è stata il dono più prezioso per noi. Sei stato il figliolo dolce e amorevole che tanto io e tua nonna desideravamo. Ti abbiamo amato con tutto il cuore. Mi dispiace se non siamo riusciti a fartelo capire...»
Altri forti colpi di tosse ruppero il respiro dell'anziano che si era fatto anche singhiozzante; Vincent prese subito tra le sue la mano di lui che stava cadendo debolmente dal proprio viso.

«No, non è vero. Non vi è stato giorno in cui non mi sia sentito amato da voi. E io vi ho voluto bene a mia volta. Vi sono grato di tutto. Vi ringrazio tanto, immensamente. Siete stati voi i miei genitori. Avete fatto più di quanto pensi, nonno.» replicò Vincent stringendolo, «Lo perdonerò.» aggiunse.

Il signor Ernest a quel punto accennò un sorriso più rilassato mentre i suoi occhi iniziarono a socchiudersi, non avrebbe retto ancora per molto.

«Figliolo... c'è un'altra cosa che volevo chiederti...» mormorò con voce sempre più bassa e affaticata.

«Dimmi, nonno.»

«Riguarda tua madre...» sussurrò Ernest, «Ho osservato molto quel pugnale, quella sera...»

Le parole si fecero sempre più basse e inudibili. Sophie, seduta su una seggiola vicino al caminetto, rimase a fissarli senza capire l'ultima domanda posta dall'uomo; ma dopo poco, successivamente a un'espressione silenziosa e cupa seguita da un movimento di una sola sillaba di Vincent, vide l'uomo abbozzare un altro sorriso e chiudere definitivamente gli occhi. Era morto. Il suo viso era sereno. Vincent prima gli baciò le mani e poi gliele pose congiunte sul petto, e gli diede un altro bacio sulla fronte. Dopodiché cadde un velo di silenzio in quella stanza ora così tetra.

Sophie smosse le labbra per potergli dire qualcosa ma fu interrotta prima che potesse parlare.

«Gli ho mentito solo un po' per potergli far lasciare in modo sereno questo mondo. Ora sembra felice, non credete?» disse l'uomo alzandosi in piedi, col viso cupo che non tralasciava emozioni.

«Sì, signore. È felice. Sono sicura che si sia già ricongiunto in Paradiso con vostra nonna. Ora l'abbraccio del Signore si curerà di lui.» rispose Sophie, facendo il segno della croce solenne, mentre una lacrima le cadde dal viso.

Vincent si avvicinò a lei e le si buttò sulle ginocchia, mise la testa appoggiata sulle sue gambe e strinse la stoffa della sua gonna, con una presa carica di taciuto dolore. Sophie non lo vide versare nemmeno una lacrima quella sera. Rimase lì su di lei, a cercare un silenzioso conforto. La ragazza iniziò ad accarezzargli la chioma lunga e spettinata, lentamente e con dolcezza, senza dire una parola, nel rispetto di quel doloroso lutto. Solo il rumore del vento della tempesta e dello scoppiettare del fuoco lì accompagnò in quella nottata turbolenta, fredda e cupa, fino a lasciarli addormentare gradualmente in quella stessa posizione, uniti.

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