Capitolo sedicesimo

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Chalfont St. Giles, 1884.

L’autunno era iniziato da un paio di settimane; la temperatura, che non raggiungeva vette particolarmente alte neppure in estate, si era abbassata ulteriormente, aiutata anche dal vento e dall’alta umidità. Sul suolo di quella distesa d’erba che fino a non molto tempo prima era verdissima, erano cosparse numerose pozzanghere che erano particolare attributo delle caratteristiche naturali del villaggio, infatti quella terra era conosciuta per la sua capacità di trattenere l’acqua; le foglie dai colori caldi erano disperse qua e là sul terreno mentre dagli alberi continuavano a caderne, almeno finché non le avessero perse tutte sostituendo la loro immagine con quella che avrebbero assunto in inverno. Il rumore dei tacchetti batté duro ad ogni passo quando Sophie attraversò lo stretto e corto ponticello in legno che univa le due parti di terreno divise da un ruscello; la ragazza sollevò di poco la lunga gonna di tessuto grigio per facilitarsi il passo, nel mentre osservò minuziosamente il paesaggio e tutto ciò che la circondava così da poterlo successivamente scrivere, e descrivere, in quella che sarebbe divenuta l’ennesima lettera da spedire a Vincent. Erano passati più di tre anni dall’ultima volta in cui si erano visti; Vincent era partito da un giorno all’altro per affari e da quel momento non fece più ritorno. Sophie sapeva che si trovava da qualche parte in Francia ed il suo unico modo per poter ancora ascoltare le sue parole erano diventate le lettere che non mancavano di scambiarsi più volte al mese. 

Sophie fece un sospiro; si strinse nelle spalle per il freddo e osservando il cielo notò le grosse nuvole grigie che si avvicinavano all’orizzonte, segno di un imminente e non raro temporale. Invertì il passo per poter tornare indietro; quel pomeriggio il mondo attorno a lei apparve particolarmente silenzioso, al suo fianco non vi era nemmeno Peter che le era sempre stato di compagnia in quegli anni di solitudine, e che continuava ad esserci per lei per qualsiasi cosa; vi era soltanto una leggera nebbia a circondarla e a rendere il paesaggio più cupo.

Prima di far ritorno a casa Jenkins, la ragazza si fermò a fare visita al cimitero come si era abituata a fare durante quell’ultimo anno. Osservò le numerose lapidi con incisi nomi che ormai conosceva a memoria per le tante volte che li aveva letti; percorse dritta la strada tra esse per un paio di metri e successivamente svoltò a destra dove, in una lapide in pietra scolpita a croce e da un aspetto non particolarmente lavorato, vi era inciso il nome di Rose Harrington, la madre di Vincent.

Era passato circa un anno da quando le venne raccontata la storia di quella donna sventurata, da quel giorno si sentì un po' più vicina a comprendere l’animo tormentato dell’uomo che l’aveva salvata: un bambino che aveva vissuto e visto il dolore coi propri occhi innocenti.

Fu la signora Harriet a raccontarle un anno prima quella storia quando, davanti ad una tazza di tè serale, espose quelle che sentiva essere le proprie colpe verso il nipote.

«Credo che lui voglia restare il più possibile lontano da questa casa. Non l’ha mai amata, lo posso capire, è naturale. Troppi brutti ricordi dimorano qui per lui» affermò Harriet mentre volteggiava il cucchiaino nella tazza con all’interno la bevanda che man mano si raffreddava, senza essere ancora stata toccata. I capelli mossi e di un grigio talmente scuro da apparire quasi neri le conferivano un aspetto più giovanile dell’età che aveva; quella sera erano racchiusi in una crocchia, ma una ciocca che ne era uscita continuava a penzolarle sul viso incurvato dalle rughe. L’abito elegante e da giorno invece era già stato sostituito dalla vestaglia da notte, coperta da uno scialle chiaro appoggiato sulle spalle strette che spesso scivolava come se stesse per cadere. Sophie rimase a fissare la donna che manteneva uno sguardo assorto sulla tazza di porcellana; non fece ancora domande e la lasciò parlare, sempre speranzosa che le venisse raccontato qualcosa.

«È stato un grande errore il nostro, quello di non averlo separato dalla madre» affermò Harriet dopo alcuni minuti di silenzio, con il viso che si corrucciò in un broncio triste. «Ma come potevamo farlo? Vincent si sentiva così solo...»

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