Capitolo tredicesimo

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L’inverno continuò rigido. Nei giorni successivi a quello di Natale i rapporti tra Vincent e Sophie si raffreddarono ulteriormente; non vi fu più alcuna lite, si limitarono entrambi alle sole frasi di cortesia durante gli incontri di attività comune come i pasti, mentre per il restante tempo del giorno stavano per lo più separati o in silenzio. Sophie non aveva mai smesso di osservarlo; il viso di Vincent non sembrava più segnato dalla rabbia, presentava la sua solita linea inespressiva ma riflessiva, come se si fosse di nuovo rinchiuso in sé stesso tra pensieri che nessuno conosceva. Sophie si domandava se dietro quegli occhi spenti stesse riflettendo sulle proprie azioni e se, come gli aveva detto lei, stesse cercando il proprio cuore e la propria umanità forse perduta. Le azioni di Vincent erano state imperdonabili per la bambina, eppure sentiva come se mancasse sempre un tassello per comprendere appieno il suo comportamento; era convinta che vi era una motivazione dietro tutta quella malvagità e quel disprezzo per la vita e i sentimenti, o almeno era quello che il proprio cuore voleva sperare. Così continuò a cercare risposte dietro quei freddi occhi e a quello stesso sguardo che aveva visto nella fotografia della sua infanzia, ai tempi in cui doveva essere ancora parte di una famiglia felice ma che, data l’espressione, iniziò anche a domandarsi se per quel bambino vi fosse mai stata la felicità, quella che ora lui cercava di togliere agli altri. Era sicura che la macchia sull’anima di Vincent provenisse dal suo passato oscuro, voleva comprenderlo e capire quanto essa si fosse già ampliata in lui; eppure la fiducia perduta nei suoi confronti e la sua meschina condotta non poterono far altro che allontanarla da lui.

Nel pomeriggio, dopo essersi esercitata ancora con la scrittura e la lettura insieme alla signora Harriet, Sophie uscì com’era solita fare negli ultimi tempi. Nelle ultime settimane aveva fatto amicizia con un ragazzino suo coetaneo del posto; i momenti passati con lui erano spensierati e ben lontani dalla continua tensione che c’era tra lei e Vincent che, soprattutto dopo la discussione di Natale, le aveva reso la vita più complicata, causandole più pensieri. Peter Smith, a differenza di Vincent, era una mente semplice; dietro l’aria da piccolo teppista e una facciata quasi arrogante, Sophie aveva compreso che possedeva un cuore gentile e un animo limpido. Ciò che però apprezzava di più nel nuovo amico era la sua capacità di ascoltare, parlare con lui era diventato quasi uno sfogo da quella sua nuova vita che non sentiva ancora completamente propria.

I due ragazzini passarono a passo lento, coi piedi che sprofondavano in continuazione nella neve fresca, per le strade di Chalfont St. Giles. Raggiunsero il laghetto contornato dal candore della neve e illuminato dalla luce del sole, il quale fortunatamente brillava in quella giornata dopo una settimana particolarmente cupa. Sophie non appena arrivò a destinazione si buttò all’indietro sulla neve con le gambe piegate e la schiena completamente immersa in essa, i suoi capelli neri, che non aveva acconciato in nessun modo e aveva lasciato sciolti, si sparpagliarono come una corona attorno alla sua testa; fece dei respiri profondi, non era più abituata a tali sforzi e quella camminata l’aveva stancata parecchio.

«Sei già stanca?» domandò l’amico che a differenza sua sembrava ancora molto carico. Voltato di spalle a guardare il fiume le diede ancora una rapida occhiata, girando un istante la testa rossiccia coperta da un berretto verso di lei, per poi rivoltarla e lanciare una palla di neve nel laghetto; il contatto con l’acqua la fece sciogliere gradualmente. «Sei strana.» aggiunse  dopo poco rimanendo concentrato sulla visione della sua palla di neve.

Sophie si mise a pancia in giù, alzandosi poi a gattoni si mosse lentamente fino a raggiungere l’amico di schiena. Sempre in silenzio allungò una mano e lo prese di sorpresa ad una caviglia, a quel gesto inaspettato Peter ebbe un sussulto e cadde anche lui sulla neve. Sophie lo fissò con sguardo sornione e gli abbozzò un sorriso, «Me lo hai già detto, Petie.» disse scandendo l’ultima parola, ovvero il soprannome che gli aveva affibbiato e che, in modo quasi divertente, pareva irritarlo.

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