Capitolo ventitreesimo

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Vincent si alzò in piedi senza darle il tempo di replicare, mentre lei era ancora confusa dalle sue parole, e la prese per un braccio strattonandola quasi con una brutale ferocia. La trascinò con sé fino alla propria camera da letto, percorrendo rapidamente sia le scale che il corridoio. Sophie non disse nulla e si lasciò accompagnare in quel modo, ignara di cosa si sarebbe potuta trovare davanti. L'uomo giunto lì accese frettolosamente un'altra candela e gliela passò tra le mani così che potesse fare luce.

«Aprite quella valigia!» ordinò Vincent indicandogliela col movimento del mento, e rimanendo in piedi quasi in disparte. Sophie voltò lo sguardo verso l'oggetto indicato: era la valigia in pelle che si era portato dalla Francia e che le aveva dato dubbi per settimane, ma su cui non aveva mai potuto mettere le mani perché spariva sempre insieme a lui. In quel momento sentì anche un po' di esitazione e dalla faccia turbata di Vincent si aspettava di potervi trovare all'interno addirittura un cadavere fatto a pezzi; inghiottì un po' di saliva e mise in disparte quei pensieri folli che capì essere poco razionali e solo portati da quella terrificante e turbolenta notte. Tolse i ganci che la tenevano chiusa e la spalancò sul materasso del letto dove si trovava, e mettendosi in ginocchio davanti ad essa cominciò a frugarvi. Dentro vi trovò moltissime buste e carte piegate e stropicciate che iniziò a smistare.

«Che cosa sono queste cose?» mormorò Sophie confusa, prendendone su una a caso da osservare meglio alla luce della candela.

«Sono tutti debiti.» affermò secco e sofferente Vincent, appoggiandosi al muro.

«Debiti?» ripeté lei.

«Sì, debiti!» ribadì lui, «Mio padre mi ha lasciato tutto questo e con la sua morte ne sono diventato responsabile e debitore io. Ho fatto valutare ogni cosa che possiedo e l'ammontare non copre più della metà della cifra che dovrò pagare! Sono rovinato!» disse rimettendosi le mani tra i capelli. Sophie si voltò verso di lui addolorata.

«Sono riuscito a prendere un po' di tempo, Sophie», sospirò ancora lui, «Sono riuscito a prendere ancora del tempo fino alla fine dell'estate per pagare; ma, come potete vedere dalla cifra, mi sarà comunque impossibile farlo. Ho già provato e riprovato a cercare i migliori investimenti e affari inutilmente. A questo punto sapete cosa mi succederà?» domandò digrignando i denti, disperato. Sophie si rialzò in piedi avvicinandosi a lui. «Sarò portato in prigione! Questo finché il debito non sarà saldato e, siccome non avrò modo di pagarlo mai, vi dovrò restare per sempre! E voi!? Ah, certo! Sarete separata da me! Voi che siete diventata la mia unica felicità e ragione di vita, ora che le cose si stavano mettendo meglio! Non potrei sopportare la separazione! No, no!» gridò in preda allo sconforto.

«Vi prego, signore, non disperate! Non disperate!» lo strinse per un braccio lei per tranquillizzarlo, «L'estate è solo da poco iniziata! Vi è ancora del tempo per trovare una soluzione!» Lui la guardò ancora rassegnato e distrutto, così lei fece un sospiro e, prendendo coraggio, sforzò un sorriso rassicurante per dire: «Avete ancora un parente in vita che vi può aiutare, signor Vincent. So di aver sbagliato a farlo, e vi chiedo perdono, ma ho letto le parole di vostro nonno; vi vuole rendere suo erede, dovete accettare il suo aiuto per...»

Sophie non fece tempo a terminare il discorso che il viso di Vincent si fece nuovamente pallidissimo, come un lenzuolo, e spalancò gli occhi: «Avete letto le sue lettere?» mormorò turbatissimo, sembrando per un istante quasi estraneo al mondo.

«Sì, solo in parte» rispose Sophie osservando confusa la sua reazione.

«E cosa avete letto?» domandò lui, un attimo pietrificato.

«Che vi vuole fare suo erede, e darvi i suoi soldi. Cos'altro?»

«Cos'altro...» ripeté l'uomo mostrando ancora uno strano stato di confusione mentre mosse alcuni passi in avanti superandola, e poi voltandosi e fissandola nuovamente negli occhi limpidi e innocenti. «Voi mi abbandonereste se accettassi la carità di mio nonno!»

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