12 . Chiavi e tele

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<<Grazie per aver ospitato mio figlio per stanotte>> l'uomo si chinò, dopo aver aiutato la signora a mettere il borsone di Hinata nel portabagagli della macchina.
Hiromi gli sorrise, buttando un occhio verso quei due ragazzi che si stavano ancora passando il pallone nel cortile, aprendo e chiudendo le labbra parlando di discorsi che i due adulti non riuscivamo ad udire.

Tornò a guardare il padre di Shoyo, scrollando le spalle. <<Grazie a voi piuttosto. Ieri Tobio era davvero tranquillo, era da un sacco che non lo vedevo così. Mia figlia ritiene sia tutto merito di Shoyo, e onestamente la penso anche io così. Passateci a trovare ogni tanto, la porta è sempre aperta>>

Poco più in là Kageyama e Hinata continuavano con il loro gioco della sera prima, sotto lo sguardo assonnato di Miwa che sorseggiava una tazza di caffè seduta sullo scalino dell'ingresso della casa. Continuava a chiedersi come diamine facessero quei due ad avere così tante energie la mattina. Sì, erano già le dieci e mezza e lei continuava a girare per la casa con il pigiama sbadigliando. Amava dormire, e quella notte aveva riposato meno del solito per finire gli ultimi capitoli di un libro.

Suo fratello e il suo nuovo amico - stava veramente usando quella parola con Tobio? Mica male - continuavano a lanciarsi il pallone, con Hinata che ogni tanto lo prendeva in faccia e Kageyama che se la rideva sotto i baffi.

<<Shoo, è ora di andare!>> esclamò l'uomo dai capelli rossi richiamando suo figlio che, venendo distratto, si prese l'ennesima pallonata in testa. Restituì il pallone massaggiandosi la testa, salutando tutta la famiglia Kageyama e saltando in macchina, sedendosi sul sedile anteriore accanto al padre. Diede un ultimo sguardo ai ragazzi, notando un velo di tristezza nei loro occhi. Probabilmente la sua compagnia era stata gradevole.

Ne era davvero felice, e doveva ammettere che, anche se non vedeva l'ora di tornare a casa e riabbracciare sua madre e sua sorella, anche lui in fondo avrebbe preferito rimanere un altro po' con loro. Shoyo amava passare il tempo con le persone perché gli piaceva osservare e conoscere: le persone da piccolo un po' gli facevano paura, ma crescendo si è reso conto della vastità di tutte le sfumature di carattere degli esseri umani. Voleva conoscerne il più possibile, come un pittore che cerca di dipingere la propria tela con colori sempre più belli, perché non ne ha mai abbastanza.

Suo padre mise in moto, salutando anche lui con la mano la famiglia e finalmente prendendo la strada di casa.

<<Grazie per essermi venuto a prendere>> disse Shoyo, rovistando tra le riviste che il padre teneva in macchina e trovando finalmente la sua preferita, quella con l'intervista del Piccolo Gigante.

Rei ridacchiò, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada. Per fortuna erano in periferia, quindi per arrivare a casa non sarebbe stato così tanto complicato come partire dal centro città.
<<Non ti preoccupare Sho. Allora, come sono questi Kageyama?>>

Il rosso annuì disattento, in mano la rivista e gli occhi che scorrevano tra quelle parole che ormai conosceva a memoria. Quando si rese conto che il padre gli aveva parlato, alzò un sopracciglio confuso.

<<Dicevo,>> fece l'uomo <<ti stanno simpatici i Kageyama?>>
Shoyo sorrise a trentadue denti, ponendo la rivista e girandosi totalmente verso il padre. <<Sono fantastici papà! Allora, c'è la signora Hiromi che è tanto gentile e mi ha ringraziato non si quante volte per aver tenuto compagnia a Kageyama, Miwa che mi ha raccontato un sacco di figuracce divertenti che ha fatto negli ultimi giorni e- e poi c'è Tobio>>

Rei si girò a guardarlo confuso. <<Non ti piace?>>
Hinata sbuffò, sedendosi di nuovo dritto sul sedile. <<È una brava e bella persona, ma non riesco ancora a capirlo. Nel senso, mi è sempre stato abbastanza chiaro capire la gente, ma lui è un mistero. Una nuvola grigia che si confonde tra le nuvole bianche. Non so se mi spiego. Lo voglio conoscere meglio di chiunque altro>>
<<E perché?>> domandò di getto il padre. Shoyo si zittì completamente.

Già, perché? Forse perché non aveva molti amici e voleva stargli accanto, forse perché aveva come la sensazione che quella partita lo avesse toccato nel profondo, forse perché semplicemente gli interessava. Non lo sapeva ancora. Si limitò a fare spallucce e a guardare la strada che piano piano entrava nella piena campagna. Ci sarebbe voluto ancora un po' per tornare a casa.

<<Di sicuro anche a Tobio stai simpatico>> affermò l'uomo, catturando di nuovo l'attenzione del figlio. <<Voglio dire, non ci ho scambiato mezza parola ma sua madre mi ha detto che non lo vedeva così felice da tanto tempo. Hai reso felice quella famiglia ragazzo mio, semplicemente restando per la notte. Cerchi sempre di comprendere le persone alla prima occhiata, per sapere che tipo di atteggiamento usare nei loro confronti. È questo che ti rende così speciale: ti piace osservare ed aiutare gli altri. E per un ragazzo timido come Kageyama può risultare difficile, ma vedrai che comincerà a fidarsi di te sempre un po' di più fin quando non lo conoscerai meglio del palmo della tua mano>>

Rimasero in silenzio per un po', e con la coda dell'occhio Rei riuscì a vedere un sorriso spuntare sul viso del figlio. Continuò a guidare soddisfatto del proprio discorso, un po' come una rondine che ha insegnato ai propri pulcini a volare.

Hinata guardò fuori dal finestrino dell'auto, dimenticandosi del giornalino che cadde sotto al sedile.
<<Pensi che in fondo io gli interessi?>>

Era una domanda sciocca, soprattutto dopo quel monologo che il padre aveva appena fatto. Però il ragazzo voleva sentirselo dire chiaramente.

L'uomo cercò le parole più adatte a quella risposta, ma alla fine pronunciò solo un "decisamente" tra una buca e l'altra che l'automobile attraversava: erano entrati nel territorio di campagna o periferia, con le sue strade poco curate e i rami degli alberi che sfioravano l'asfalto.

Shoyo sospirò, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal tremolio della macchina e la radio impostata al volume minimo. Suo padre teneva sempre lo stereo acceso, anche a volumi così bassi che poi dimenticava di spegnerla. Il suo rapporto con la musica era un po' come quello del figlio con la pallavolo: senza si sentivano persi.

Hinata pensò alle note che Rei gli aveva fatto imparare sin da piccolo, agli accordi con la chitarra che l'uomo strimpellava la sera prima di andare a letto, e pensò che lui e Kageyama potevano definirsi come le chiavi di violino e di basso: bastava una nota posizionata in un rigo diverso a cambiare l'intera lettura del brano, eppure per i pianisti andavano a braccetto per una melodia completa.

Si perse così tra i suoi pensieri, con chiavi di violino e di basso che gli giravano intorno alla testa e una tela che non aveva ancora cominciato.

Binder ── KagehinaWhere stories live. Discover now