CALI

24 1 0
                                    

Whitney cammina su e giú per il mio salotto da almeno mezz’ora.

I capelli, di un rosso che oggi mi sembra piú acceso del solito raccolti in una crocchia spettinata, le lasciano qualche ciocca libera sul viso che sbuffa in aria ogni tre passi.

Uno, due, tre, pff.

Cosí da trenta minuti.

<<Whit posso sapere..>>

<<Shh!>> Mi zittisce agitando il palmo della mano nella mia direzione. <<Sto ragionando.>>

So perfettamente a cosa sta pensando la mia migliore amica mentre sembra si stia allenando per una marcia.

Seattle.

Quello che è successo solo pochi mesi fa, quello che abbiamo dovuto affrontare per lasciarci alle spalle questa storia, tutta la sofferenza che ha causato a lei, a me e alla mia famiglia.

<<Pensi che sia una follia uscire con lui?>>

<<Lo penso.>> Ammette. Finalmente smette di camminare e si siede accanto a me. Le lentiggini si arricciano quando sorride appena.

<<Cali, è una follia uscire con lui perché credo che lui ti piaccia. Uscire con Jace, ok, fare sesso con lui d’accordo, ma questo ragazzo.. C’è qualcosa in lui che ti fa brillare gli occhi e davvero non credo sia sensato nella tua situazione.>>

<<Cosa mi resta Whit? Ho litigato con i miei, a malapena riesco a parlare con mia madre per essere tornata qui. Sono stufa di fare solo cose che non mi sfiorano, di vedere gente che non mi attrae solo per paura di farmi male. Voglio sentire qualcosa Whit. Sono quattro anni che mi sento come un pezzo di pietra.>>

Dare voce ai miei pensieri in questo modo, anche se al cospetto della persona che mi conosce di piú al mondo, mi fa sentire terribilmente a disagio.

Ogni volta che la maschera cade e la veritá torna a galla non riesco a non sentirmi sopraffatta.

Mi sembra di sprofondare nelle maledette sabbie mobili ogni singola volta, lentamente, sempre un po’ di piú.

Sono così stufa di aspettare il momento in cui sarò parte della terra, risucchiata dal fango e dal dolore senza riuscire a godermi il panorama che mi circonda prima di affondare.

<< Non è poi cosí diverso dall’uscire con Jace.>>

<<Ne riparleremo tra qualche settimana, quando  ti renderai conto che invece è estremamente differente.>> Appoggia la testa sulla mia spalla, poi mi da un colpetto su una coscia e scatta in piedi. <<Questo comunque non significa che non ti aiuterò a farlo rimanere a bocca aperta.>>

***

Quello che vedo nello specchio per la prima volta dopo qualche anno, mi soddisfa. Whit mi ha prestato un bel vestito bianco aderente, che mi arriva al ginocchio con uno spacco sulla coscia sinistra.  

I capelli scuri mi ricadono sotto il seno in morbide onde naturali. Un po’ di colore sulla mia pelle pallida  e un paio di passate di mascara, sembrano aver fatto un miracolo.

Sembri quasi normale.

La mia coscienza cattiva e prepotente prende il sopravvento, ma tento di non darle ascolto. Voglio solo fingere di essere una banalissima universitaria che esce con un uomo che le piace.

Senza segreti, scheletri nell’armadio piú grossi del normale o pensieri autodistruttivi.

Alle otto sono pronta ed inizio a sentirmi nervosa.

Whit mi saluta e sale in auto, scomparendo nella strada trafficata della periferia verso il centro.

La ghiaia sfrigola sotto le converse, mentre cammino su e giu  nell’attesa di Isac, che arriva cinque minuti piú tardi.

Guida una vecchia Camaro, un modello un po’ anni settanta, tirata a lucido da sembrare quasi nuova.

Quando scende dall’auto e si appoggia alla portiera del passeggero sento le guance andarmi a fuoco.

Indossa una camicia nera, i jeans chiari e scoloriti lasciano intravedere una sottile fetta di pelle dipinta sul ginocchio.

Ha il sorriso piú bello che io abbia mai visto e i suoi occhi, cosi profondi e taglienti, sembrano sciogliersi in laghi verdissimi non appena incontrano i miei.

<<Sei stupenda.>>

<<Anche tu.>> Mormoro, intimidita. <<E hai un' auto.>>

<<Non vuoi salire sulla mia moto, ho dovuto inventarmi qualcos’altro.>>  Mi fa l’occhietto, mentre le sue mani raggiungono i miei fianchi.

Mi piace il suo modo spavaldo di mangiarsi lo spazio tra noi, senza mai chiedere il permesso, ma senza mai essere inopportuno.

<<Allora..>> Le sue dita esperte mi risalgono sulla curva del bacino, scivolando lentamente su e giu. Mi distrae terribilmente e continua con quel semplice gesto a torturarmi l’anima.

<<Sei d’accordo tesoro?>>  La sua voce mi riporta alla realtà e capisco che deve avermi detto qualcosa mentre io galleggiavo tra le sue dita.

<<Si, certo.>>

<<Mi stavi ascoltando

bambolina?>>

Faccio cenno di si con la testa e Isac sfodera un ghigno sinistro ed eccitante. Un bel sorriso strappamutande in piena regola.

Saliamo in auto, che profuma di pelle e di lui. Il suo odore sembra impresso nel cuoio lucido dei sedili. Isac guida sicuro, le nocche scarabocchiate strette intorno al volante sottile, gli occhi fissi sulla strada illuminata che si apre davanti a noi.

Una vecchia canzone dei Blink gli fa muovere appena le labbra.

<<È tua questa macchina?>>

<<Era di mia madre, lei era una vera appassionata di auto.>>

Qualcosa nella sua voce cambia, si rabbuia ed io mi pento immediatamente di aver aperto bocca.

<<Lei.. >>

<<È morta, io e Nora eravamo ragazzini. >>

<<Mi dispiace molto Isac.>>

Istintivamente cerco la sua mano, ho bisogno di un contatto con la sua pelle per non ricominciare a pensare a Seattle, a quello che sono e a quanto fa male portarsi dietro questa montagna di dolore.

<<Vedi bambolina, sono giá un libro aperto.>>

<<Ancora non mi hai risposto però.>>

Le sue dita sfiorano l’orlo del mio vestito, rabbrividisco sotto il suo tocco leggero. Le cosce nude contro la sua mano, mi deconcentrano…di nuovo.

<< Cali, è meglio se la smetti di reagire cosi quando ti tocco. Altrimenti non arriveremo a destinazione. D’accordo?>>

Sorrido. <<D'accordo.>>

La vita di un attimo. PRESTO IN LIBRERIA E ON LINE!Where stories live. Discover now