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VIAGGIO IN AUTO

Lanciai un'ultima occhiata al glorioso palazzo in stile manierista che mi aveva fatto da casa dai primi giorni in cui ero venuta al mondo

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Lanciai un'ultima occhiata al glorioso palazzo in stile manierista che mi aveva fatto da casa dai primi giorni in cui ero venuta al mondo. Alla consapevolezza di doverlo abbandonare, una lacrima mi bagnò il viso: volevo trattenerle tutte, ma questa era sfuggita al mio controllo.

Quel giorno la strada era anche molto trafficata: avevo dovuto ricordare a mia madre, e più volte, di non indietreggiare troppo mentre chiacchierava, o sarebbe finita sotto un auto.

Non potevo piangere, Zaya Barlow non avrebbe gradito: per lei trasferirsi era motivo di festa e non desiderava altro se non condividere questa sua immensa gioia con me e mio padre.

Mamma non sapeva guidare e trovai davvero di cattivo gusto che avesse obbligato mio padre a mettersi al voltante: per lui affrontare un viaggio così lungo, e nelle sue condizioni, sarebbe potuto essere molto provante. Però non si poteva fare altrimenti: nessuno ci avrebbe dato un simile passaggio e i mezzi di trasporto fuggivano tutti quella cittadina.

Quindi eccoci tutti e tre a partire con la nostra auto. 

Arthur Barlow, uno spilungone dal viso ovale e dalla carnagione perennemente pallida, di cui avevo ereditato il naso aquilino e i grandi occhi scuri, non godeva più di ottima salute da diversi anni ormai: la sua estrema e costante debolezza, dovuta a una malattia deteriorante, lo aveva costretto persino a lasciare il lavoro.

Mio padre non avrebbe dovuto affaticarsi, mia madre ne era a conoscenza, avrebbe avuto un'altra delle sue crisi se non fosse stato attento.

Ripensai a come i medici ci avevano detto che non sapevano come aiutarlo, mentre si limitavano a dirgli di non fare eccessivi sforzi e di restare sempre rilassato, di come mio padre fosse affetto da una malattia orfana.

La preoccupazione principale di mia madre, riguardo il precario stato di salute del marito, era stato rivolto alle grandi entrate di mio padre che non sarebbero più arrivate.

Per fortuna il mio vecchio sapeva risparmiare e potevamo vantare di essere benestanti, ma le mani bucate di mia madre potevano davvero metterci in guai seri.

La sera prima che chiamasse la ditta di traslochi, mamma mi aveva riferito l'assurda e spropositata cifra che aveva fatto sborsare a mio padre per la nuova casa e mi ero chiesta come mai lui non avesse avuto un colpo al sentirla.

«Mamma!» ero rimasta a bocca aperta. «È troppo! Non so come sia questa casa, e nemmeno tu: insomma, chi l'ha vista? Una cifra del genere...»

«Come sarebbe che non l'ho vista?» mi aveva rimproverato lei, agitandomi l'indice davanti al viso. «Ti ricordo che io sono cresciuta a Snowy Mountain: ne conosco ogni vicolo, passavo davanti a quella villetta molto spesso per andare a trovare... per andare a casa di una mia cara amica!»

Ma non è a questo che mi riferisco. Avevo pensato, sapendo che avrei fatto meglio a tacere da quel momento in poi.

Da giorni immaginavo, e forse anche mio padre era della stessa idea, che mia madre fosse stata raggirata per bene e che avesse rimediato l'ennesima fregatura.

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