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ODIATA

Mi ero fatta una doccia col getto d'acqua più gelido al mondo (acqua che al principio usciva mista alla terra) e quello era uno dei tanti problemi che mia madre non tollerava più: ogni giorno, pretendeva dal signor Gorman che questi provvedesse al...

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Mi ero fatta una doccia col getto d'acqua più gelido al mondo (acqua che al principio usciva mista alla terra) e quello era uno dei tanti problemi che mia madre non tollerava più: ogni giorno, pretendeva dal signor Gorman che questi provvedesse al più presto a rimediare al danno di turno e tutte le volte lui le ricordava che, prima di cominciarne uno nuovo, non poteva lasciare, in quella casa, gli altri lavori iniziati a metà senza finirli.

Anche quella mattina, la sentii telefonare a quel povero uomo e la udii urlargli contro: «Faccia bene il suo lavoro! Mi ha capita? O dirò a tutti quanti che lei è un incapace e così facendo nessuno vorrà più assumerla! Parola mia».

Mi ero infilata nel primo felpone nero a portata di mano e avevo optato per un paio di pantaloni dello stesso colore. Misi degli scarponi pesanti ai piedi per tenerli caldi, oltre le due paia di calze che portavo già.

«Oh, ma Tracy!» si lamentò mia madre non appena mi aveva vista scendere dalle scale. Quella mattina, si era truccata ancora di più e sembrava pronta per la passerella. «Ma tutta di nero ti dovevi vestire? Hai già i capelli di questo colore, non ti basta? Vatti a cambiare immediatamente, mettiti qualcosa di colorato e bello. Vuoi forse spaventare la gente conciata così? Sei già grassa! Gli indumenti larghi non faranno altro che evidenziare il tuo problema. Devi fare un po' di dieta. Ma che fa ancora a letto, quel disgraziato? Arthur!» e lo chiamò urlando. «Con la scusa che è debole non alza più un dito.»

«Ma, mamma,» le dissi, sentendomi cadere le braccia sui fianchi per lo sconcerto, «papà non è pigro, è malato. Lo hai fatto...» mi zittii prima di aggiungere che lei lo aveva costretto a un eccessivo sforzo, facendogli ripulire il salotto e spostare mobili pesanti per accontentarla, e che questi dovesse riposare per riprendersi.

Mia madre assunse quell'espressione adirata che conoscevo fin troppo e che mi faceva sentire in colpa ogni volta che me la rivolgeva: i suoi occhi si assottigliarono, le labbra si arricciarono, la narice del naso era tirata su a mostrarmi la sua indignazione.

«Scusami, mamma», sussurrai piano, avviandomi verso la porta dopo essermi messa il giubbotto e un cappello di lana in testa. «Ora vado a scuola.»

«Sì, brava!» mi rimproverò lei, incrociando le braccia esili al petto. «Vai a scuola e porta qualcuno a cena stasera. Ma no, tu non lo farai. No, tu vuoi vedermi infelice! Io voglio solo il meglio per te e ciò significa che devi farti degli amici. Tutto pur di farmi dispetto.»

«Ma no, mamma!» cercai di rassicurarla, era imbronciata e non mi guardava neanche più, intestardita com'era. «Non ti deluderò, ma dammi del tempo, per me non è facile», aggiunsi col proposito di accontentarla, pur essendo cosciente che mi sarebbe costato uno sforzo immane

Si voltò e mi rispose: «Come vuoi, ma sbrigati! Non sopporto più di avere una figlia così solitaria e la tua festa deve essere l'unica di cui tutti parleranno, anche tra molti anni!»

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