Prefazione

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L'eroe aprì gli occhi in mezzo alla battaglia.

Faticava a respirare e la cenere gli era finita in gola, otturandogli le vie respiratorie. Gli bruciavano gli occhi e sentiva le lacrime scorrergli lungo il viso, scolorendogli le rune dipinte sul volto. Persino il aegishjalmu sulla fronte era disfatto dal sudore, dalla pioggia e dal sangue dei nemici. Le mani dell'uomo tenevano saldi spada e scudo, gli tremavano le gambe dalla fatica, ma sapeva di dover continuare a lottare e fermare il suo nemico, oppure avrebbe continuato a distruggere.

Ai suoi pedi i nemici erano morti, avevano le teste aperte, i busti dilaniati e gli organi esposti. Le dita erano calde, roventi, seppure tenesse nella mano destra la spada faticava a riconoscerne il peso e la sensazione del legno sulla pelle. Aveva smesso di sentire il freddo, sormontato dall'ira e dalla paura. I suoi amici stavano morendo davanti a lui ed era colpa sua, perché aveva scelto per se stesso. Fino a quel momento, suo padre e il consiglio avevano avuto la priorità su ogni sua scelta, persino quella di imbarcarsi nella prima flotta e affrontare il gelido Mar del Nord.

Gli piaceva uccidere. Lo adorava. In fondo era stato cresciuto in quel modo da suo padre, il più forte tra i vichinghi, e lui aveva da sempre sentito il peso di essere all'altezza, persino migliore di lui. La folle impresa di suo padre aveva dato i suoi frutti in Inghilterra, avevano ottenuto oro, acciaio e grano.

Pensava che sarebbe rimasto là, nelle umide campagne della Northumbria, a lavorare una terra in pace con una moglie e qualche figlio. Dopo anni passati in mare, ad assediare città, a saccheggiare e costruire, l'idea lo allettava, tuttavia era conscio che il suo destino fosse altrove. Suo padre gli aveva offerto un'altra via, un'ultima impresa, e lui aveva accettato con gioia, trovando l'isola.

Ne era stato richiamato.

L'aveva scoperta piano piano, mentre suo padre distruggeva la costa orientale e uccideva qualunque persona osasse mettersi sul suo cammino. Lui voleva restare, lo desiderava con tutto se stesso, e pensava che forse permettere a quell'uomo le sue barbarie fosse un prezzo accettabile.

«Un guardiano, sønn» ringhiò suo padre. «È la cosa più stupida che tu abbia mai detto.»

Aveva un'aria terrificante con i vestiti ridotti a brandelli e il sangue che gli colava dappertutto. Reggeva in una mano un grosso martello su cui era stato inciso il triskelion, i tre corni, e nell'altra un'ascia affilata.

«Sono stati loro a metterti in testa queste cose. Quei selvaggi magici. Ti hanno incantato, come fai a non accorgertene?» lo attaccò.

«Nessuna magia, padre. Sono i guardiani dell'isola, quella che noi abbiamo invaso. Questa era casa loro, un paradiso che erano pronti a condividere con noi, e tu lo hai trasformato in un massacro.»

«Il futuro del tuo popolo lo consideri tale?» gli urlò.

L'eroe abbassò le spalle. «Le situazioni peggiori nascono dagli intenti migliori, min konge. Dovresti averlo capito, ormai. Non sono più uno di voi.»

Sfiorò il cristallo che i suoi amici gli avevano donato e risentì le loro parole, le loro risate e il calore della magia. Gli avevano mostrato una via d'uscita e gli avevano dato la forza per contrastare i conquistatori; la sua vera famiglia.

«Mi hanno mostrato i loro dèi, la Luna e la Terra. Fare a pezzi il castello di D'va Grammell li ha fatti solo ascendere. Fanno parte di questo luogo. Credi di poter fermare la potenza del fuoco o la furia dell'acqua innalzando palizzate?» sbeffeggiò.

«Gal. Morirai. Ci chiamano pagani. Potrai anche crederti uno di loro, ma non lo sarai mai! Nel tuo petto c'è un cuore vichingo, sei il figlio di Ragnarr Lothbrok, un re! Combatterai per questa terra al mio fianco o morirai.»

Imperial Wolver IIحيث تعيش القصص. اكتشف الآن