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(Lance)

Mangiarono riuniti a un lungo tavolo quella sera, la ricchezza dei piatti, dei fiori al centro e le candele fecero vergognare Joseph di trovarsi là. Ru colse prima di Alba il divario tra quel mondo e quello in cui erano cresciuti la maggior parte dei ragazzi, uno povero, senza lussi di alcun tipo, con un lavoro o un campo da coltivare. La guerra pareva essere un argomento distante durante la cena, come se non ci fosse mai stata, il re beveva idromele e mangiava carne cotta a puntino. Charles stava parlando con il principe e gli stava elencando le perdite dei battaglioni, soprattutto tra il ventesimo e il trentaseiesimo.

A preoccuparlo era Gwyn. L'uomo era alla destra del re e stava fingendo di ascoltare il suo discorso impellente su quanto l'uva rossa fosse deliziosa e il raccolto fosse stato gravemente colpito. Gwyn aveva tra le mani dei calamari e li stava divorando a morsi. Joseph era troppo nervoso anche solo per sbocconcellare il suo piatto.

Al termine della cena servirono un dolce al cioccolato, Dylan si sentì male – o almeno finse benissimo – e Bjørn e Alba si offrirono di scortarlo ai suoi alloggi.

«Mi guardano come se fossi un cazzo di dolce» si lagnò Ru sottovoce, masticando un boccone di torta. Alcune guardie lo stavano tenendo d'occhio, ignorando persino il re brillo. «Peccato non poter scappare... Oh!»

Joseph si alzò, chinò leggermente la testa verso la regina che gli sorrise, concedendogli in silenzio di andare. Ringraziò Alba per avergli insegnato alcune regole di buona etichetta, d'altra parte il re aveva bevuto abbastanza idromele da non ricordarsi nemmeno più il volto del ragazzo. Per Joseph era giunta l'ora di filarsela.

Uscì dalla sala, lasciando Ru da solo in balia di sconosciuti che non provavano alcuna simpatia nei suoi confronti e non si sentì in colpa. Voleva parlare con Dylan e gli altri campioni per sapere la loro opinione sull'incontro. Sapeva che fossero stati i primi ad accettare l'opzione, continuare a combattere era pericoloso, a mano a mano i nemici avrebbero tagliato via ogni via di fuga e provviste.

Si perse nel palazzo e, davanti ad ogni squadrone di guardie, fingeva di avere una meta precisa. L'uniforme cominciava a calzargli stretta e dargli fastidio sul collo e sul petto. Per quanto gli desse fastidio ammetterlo, gli mancava David e il potergli parlare di ciò che stava accadendo nella sua vita.

Gwyn gli tagliò la strada e Joe fece un istantaneo passo indietro. Sentì un vago profumo di fiori su di lui, soffocato dalla puzza della cena e cenere.

L'uomo si grattò la barba folta e il movimento fece ondeggiare la frusta attaccata alla cinta. «Joseph, giusto?» domandò con quell'accento bizzarro, gli occhi chiarissimi sprizzavano scintille. «Avevo un amico di nome Jøsef molto tempo fa. Aveva i capelli scuri, proprio come mio figlio.»

Joseph si aspettò di sentire un bambino o di vederne zampettare uno intorno. Gwyn era più vecchio di Arthur McKingsley e di sicuro il palazzo era un posto inadeguato per un bambino.

«Avevi un figlio?» replicò.

«È morto. Cose che succedono» minimizzò, girandogli intorno con aria critica. Lo studiò da cima a fondo, sfiorandogli le braccia. «Mia moglie è defunta dandolo alla luce, ma non è stato un investimento promettente. Sembri davvero fragile e queste mani delicate... Adori viziarti anche tu.»

Gli afferrò un polso e lo strinse abbastanza da bloccargli i movimenti. Le mani di Gwyn erano dure e ricoperte di cicatrici, lontane dai vecchi viscidi di corte che facevano gli occhi dolci alle cameriere e aspettavano il cibo a letto. Quelle erano le dita di un guerriero.

«Ti farai del male. Tornando, hai firmato la tua condanna a morte. Sono un gran maleducato a fartelo notare, a voi cuccioli piace credere di essere importanti» esclamò. «Siamo partiti con il piede sbagliato, io e te, Joseph. Dovremmo andare d'accordo.»

Imperial Wolver IITahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon