Episodio 0

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Sono nata nel 1891, non ho più ricordi su quale fosse il mio nome da mortale, e questa è la storia di come sono morta.

Quando ero in vita, ricordo che desideravo solo fuggire il più lontano possibile dalle restrizioni della mia famiglia. Ci fu un tempo in cui tentai di conformarmi al loro modo di vedere la vita, per farli felici, per renderli orgogliosi. Tuttavia, per loro la vita comprendeva troppo poche cose, mentre io aspiravo a molto di più. Desideravo esplorare il mondo, lasciare le campagne rurali dove ero stata relegata e forse, un giorno, avrei trovato un luogo tutto mio tra le città più caotiche e affollate del mondo.


Mio padre odiava quelle che per lui erano solo idee inutilmente rivoluzionarie e irrealizzabili per una fanciulla, ma penso che in realtà odiasse di più il fatto che non fossi semplicemente come le mie coetanee: sposate, possibilmente con un uomo benestante.


Come accennavo, provai a adeguarmi. Trovai anche un lavoro per mezza giornata come mondina, un lavoro con un nome tanto adeguato a me quanto fuorviante nella realtà, e no! Lavorare nei campi di riso tutto il giorno non era ciò che sognavo da bambina, mentre guardavo le travi di legno del mio soffitto, immaginando le grandi cose che avrei fatto una volta raggiunta l'età adatta. Ora, a 21 anni, eccomi qui, all'età giusta per realizzare tutto ciò che segnavo nella mia lista immaginaria ogni sera prima di dormire, ma niente è andato come me lo ero immaginato. Mi sento troppo piccola per liberarmi dalla sottomissione dei miei genitori e allo stesso tempo troppo poco giovane per trovare un buon partito disposto a prendermi in moglie. Insomma, una vera delusione.


Intendiamoci, in verità i miei genitori hanno sempre cercato di rifilarmi un marito. Una volta, mia madre tornò precipitosamente a casa dopo aver lavorato nei campi di un signore il cui nome è ormai dimenticato, e disse a mio padre: «Caro, questa volta abbiamo trovato. Un infelice ha accettato di sposare nostra figlia. È vedovo da poco e non riesce a gestire le faccende di casa e sociali. Anche sua madre è fuori di testa, e lui necessita di una moglie che si occupi di lei mentre lui si dedica ai suoi affari. Questa è l'occasione giusta, deve esserlo. E tu», indicandomi il naso, «tu non rovinare tutto di nuovo. Non parlerai delle tue idee rivoluzionarie su come una donna dovrebbe vivere la propria vita in libertà. Meglio ancora, non parlare proprio. Acconsenti a ogni sua richiesta, ogni proposta sarà per te un piacere e sorridi, tanto. Ma soprattutto, sii sottomessa.» 

Dopo si allontanò, girandosi felice: «Finalmente ci libereremo del fardello che opprime l'economia della nostra famiglia e forse potrò permettermi quella macchina da cucire che tanto desidero.»

La mia vita svenduta per una macchina da cucito. Che poi a che servisse non mi era nemmeno tanto chiaro, ma non poteva essere più importante di me. Almeno, non avrebbe dovuto. Ma comunque non avevo mai visto mia madre così nervosa, ma soprattutto non avevo capito, fino a quel momento, quanto fossi fonte di disprezzo per coloro che mi avevano dato la vita.

 Non potevo credere che la volontà dei miei genitori fosse dare in sposa la loro unica figlia ad un uomo 40 anni più grande e per questo risposi mentendo: «Si, madre.» 

D'altronde, chi mai al mio posto avrebbe accettato quelle condizioni? E chi mai, al posto di mia madre e di mio padre, avrebbe svenduto una figlia così? E poi, i miei genitori mi volevano bene e avrebbero trovato il modo di sostenermi e comprendermi, perché è questo il compito di un genitore. Forse all'inizio, pensai, quando avrei respinto l'ennesimo pretendente, si sarebbero arrabbiati o, addirittura, infuriati, ma alla fine avrebbero capito le mie ragioni. Dopo tutto mi conoscevano, non potevano davvero pensare che quel sì, madre fosse in realtà un SÌ MADRE. Cosa sarebbe accaduto poi? Di certo non mi avrebbero accolto con un abbraccio, né mi avrebbero lodato dicendo: "Brava figlia, sostieni sempre le tue idee con coraggio e dedizione". 

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