9. Dolore

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Mi sento a pezzi ed è solo il primo giorno su sessanta. Devo smettere di piangermi addosso. Mi alzo e mi dirigo nell'enorme cucina, il parquet marrone chiaro le dà un'aria rustica, come al resto della casa, ma i mobili al suo interno sono molto moderni, di un bel bianco. Annabelle di sicuro mi romperà le scatole a vita se cucino il suo cibo, ma al momento non ho la benché minima voglia di uscire ed andarmelo a comprare, anche perché la mia macchina è al dormitorio.
Accendo i fornelli e metto su l'acqua, apro tutti gli sportelli fino a trovare quello in cui tiene la pasta e la peso. Ne aggiungo anche un etto per Annabelle, così magari mi grazierà per aver usato il suo cibo. Preparo il sugo con il pomodoro, un pezzetto di peperoncino e l'aglio e quando l'acqua bolle butto giù la pasta e cuocio il sugo.
«Che fai?» sobbalzo sentendo la voce di Annabelle.
«Il pranzo» rispondo con un'alzata di spalle e torno a guardare il sugo.
«È solo mezzogiorno» controbatte lei, ma stranamente non ha il solito piglio arrogante nella voce.
«Ne ho fatta un po' di più anche per te» cerco di essere gentile. Annabelle sembra sinceramente sorpresa, la prima emozione che vedo sfuggire al suo autocontrollo.
Senza dire una parola prende una tovaglia dal cassetto in basso e la stende sul tavolo, poi afferra posate, piatti, bicchieri e tovaglioli e li mette sul tavolo. È così strano vederle fare qualcosa di normale ed anche vagamente carino verso di me, che mi trattengo a stento dallo scoppiare a ridere. Se solo mi lasciassi andare saremmo da capo a dodici, ma questo mi sembra un passo verso una convivenza sopportabile, quindi faccio meglio a tenere la bocca chiusa.
Si siede al tavolo. Mi accorgo che è sempre impeccabile, perfetta. I capelli in dolci onde che le ricadono sulle spalle, il trucco perfettamente steso sul suo viso, il vestito senza alcuna piega che le aderisce perfettamente al corpo, le scarpe con il tacco perfettamente lucide, una gamba accavallata sull'altra in una posa da perfetta signora. Io sono sciatta: indosso una maglietta di cattivo gusto, questi stupidi jeans bucati e scoloriti, ed ho i capelli legati in uno chignon orribile. Non mi è mai interessato nulla dei vestiti, ciò che potevo spenderlo per lo shopping l'ho messo da parte per il biglietto aereo.
«Quando hai finito di farmi la visita a raggi X, la pasta si sta scuocendo» mi riporta alla realtà Annabelle con un sopracciglio scuro inarcato verso l'alto.
Mi precipito a scolarla e poi la mischio al sugo, infine aggiungo una spolverata di parmigiano e la porto in tavola.
«Se fa schifo, rivoglio indietro i soldi degli alimenti» dice Annabelle affondando la forchetta nel piatto.
Ridacchio e lascio che la assaggi. Già che l'ha ipotizzato invece che darlo per scontato mi consola un po'. Quando mastica i suoi occhi scattano su di me, visibilmente scioccati. Deglutisce e poi mi fissa. «Dove hai imparato?» è veramente gelida, nonostante nei suoi occhi sia evidente la sorpresa.
«Cucinavo per mio padre e mio fratello» improvvisamente la fame svanisce, e sento una morsa attanagliarmi le viscere. Non devo mostrarmi debole davanti ad Annabelle, o prenderà le mie debolezze e me le scaglierà contro.
Annuisce senza dire nulla e continua a mangiare. Mi sforzo di spizzicare almeno qualcosa per non restare digiuna fino a stasera.
«Bene, visto che tu hai cucinato, io sparecchio e lavo i piatti» Annabelle è veramente arrogante e tutto il resto, ma bisogna riconoscerle che ha uno spiccato senso della parità. Mi annoto mentalmente di non farle mai uno scherzo, perché mi ripagherebbe con la stessa moneta.
«Io allora vado a disfare la valigia e a studiare un po'» prendo le mie cose e mi dirigo al piano di sopra, entrando nell'ultima porta infondo al corridoio. Quando passo di fronte alla stanza di Annabelle mi fermo e guardo la porta. C'è un'elegante A ricamata sopra, e nient'altro. Perfino io sulla mia vecchia camera ho attaccato qualche poster. È veramente strano. Sarei curiosa di vedere com'è dentro, ma sarebbe decisamente un passo nella direzione sbagliata.
Poggio la valigia sul letto a due piazze ed ordino i vestiti nell'armadio, tanto fra meno di una settimana saranno sparsi nella stanza. Metto i miei libri preferiti sugli scaffali attaccati al muro e spargo la roba per studiare sulla scrivania. C'è troppo silenzio in questa casa, così tanto che mi deconcentra dallo studio. Afferro il telecomando sul comodino ed accendo la televisione lasciando su MTV.
Non mi sento a disagio in questa stanza tanto come avevo ipotizzato. Non mi sento nemmeno proprio a mio agio, però non mi dispiace.
Dopo un'ora decido che ne ho abbastanza di studiare e chiudo i libri, buttandomi sul letto. Alla fine tutta questa situazione non è poi così male: mi permette di risparmiare sull'affitto, e se sono impegnata con Annabelle ho meno tempo per pensare, che non fa mai troppo bene.
Giro la testa e guardo fuori dalla finestra il giardino curatissimo. Il vento leggero muove le foglie sugli alberi e le fa cadere dentro la piscina. Non so quanto tempo è che sto fissando fuori, ma inizio ad annoiarmi. Il mio telefono squilla, così allungo una mano e rispondo.
«Drew è uno stronzo» è Jace, ed è pure incazzato.
«Che succede?» chiedo allarmata scattando in piedi.
«Annabelle non si è affatto trasferita!» ringhia. «Era una scusa per accompagnarti. Che ti ha fatto?»
«Jace, rilassati, non mi ha fatto niente, a malapena mi ha rivolto la parola» cerco di calmarlo.
«Meglio per lui. Tra poco ho gli allenamenti, passo a prenderti così andiamo a recuperare la tua auto al dormitorio e ti porto a mangiare qualcosa» quando Jace parte, non lo ferma più nessuno.
«Non preoccuparti per il pranzo, ho già mangiato, però il passaggio lo accetto volentieri, devo andare al supermercato, Annabelle non mi farà più cucinare il suo cibo» ridacchio e prendo la borsa, dirigendomi al piano inferiore.
«Già che te lo ha permesso una volta è un miracolo, come hai fatto?» chiede, la tensione e la rabbia sono svanite dalla sua voce.
«Ho esimie doti culinarie» mi vanto.
«Allora credo che verrò a trovarti più spesso.»
Guardo Annabelle seduta a messaggiare con le cuffie.
«Ed io credo che non verrai per me» lo stuzzico con un sorrisetto che lui purtroppo non può vedere.
«Ci vediamo fra dieci minuti, Liz!» si affretta a chiudere la chiamata. Rido ed esco in giardino ad aspettarlo.
Mi siedo sulla panchina sotto la grande quercia e girovago su internet alla ricerca di qualcosa che catturi la mia attenzione.
«Lizzie, che fai?» alzo di scatto la testa a quella voce e incontro degli addominali scolpiti gocciolanti d'acqua. La mia gola si secca istantaneamente ed il cuore prende a battere alla velocità della luce.
«Aspetto Jace» la mia voce è poco più che un sussurro. Mi sforzo di alzare lo sguardo ed osservarlo negli occhi. Dio mio, è così bello, è innegabile.
«Ah» contrae la mascella, sembra... irritato. Il mio cuore fa una capriola al pensiero che possa essere geloso di me, ma poi mi ricordo ciò che mi ha detto Jace a proposito delle sue abitudini e scaccio l'idea. Sicuramente farebbe di tutto per irritarlo, lo dimostra il fatto che gli abbia detto che Annabelle si è trasferita solo per accompagnarmi e farlo arrabbiare.
«Che ci fai qui?» chiedo per spezzare il silenzio che si è creato.
«Abito qui davanti» indica una specie di hotel costruito tutto su due piani. «Faccio parte della confraternita.»
Ora si spiega tutto. Vive lì con altri ventinove ragazzi. Davanti casa di Annabelle. La casa in cui dovrò stare per due mesi. Consapevole che cento metri più là c'è Drew. Improvvisamente sento troppo caldo per quanto ne fa fuori. Il suono del clacson dell'auto di Jace mi salva.
«Ora devo proprio andare» scatto in piedi e corro verso la macchina del mio amico, mollando Drew.
Mi infilo nel lato del passeggero ed attendo che Jace metta in moto, ma lui si limita a fissare la strada davanti a sé con la mascella contratta.
«Jace, tutto okay?» chiedo timorosa toccandogli un bicipite teso.
«Tutto okay?» sussurra, la voce traboccante di rabbia repressa.
Si gira e vedo chiaramente nei suoi occhi che sta per sbraitarmi contro, ma un ticchettio insistente sul finestrino glielo impedisce. Mi volto ed incontro gli occhi verde intenso di Drew. Non capisco cosa voglia, ma poi sposto lo sguardo e vedo che ha in mano la mia borsa. Apro la portiera e lui me la porge.
«Ti eri scordata questa» gli addominali si tendono quando si china per appoggiarmela sulle gambe, visto che non accenno a fare nessun movimento. Dio, vorrei prendermi a calci. Sono seriamente ridicola.
«Grazie» balbetto restando a fissare il mezzo sorriso che ha stampato in volto. Ha potere su di me, e lo sa. Questo mi basta per riprendermi e chiudergli la portiera in faccia, mentre il cuore mi martella al triplo della velocità.
«Parti Jace, ti prego» supplico con le lacrime agli occhi.
Lui non se lo fa ripetere di nuovo e sgomma sull'asfalto, in direzione del dormitorio.
«Liz, mi dispiace, non piangere» la sua voce è colma di senso di colpa.
«Non è» singhiozzo asciugandomi le lacrime «colpa tua.»
«Cazzo, è stato Drew?» passa velocemente dal senso di colpa alla rabbia ed inchioda sul bordo della strada, nel bel mezzo del nulla. Non riesco più a smettere di piangere. Jace apre la portiera e viene dalla mia parte, mi solleva di peso e mi mette sulle sue ginocchia. «Che succede?» chiede. Sentire il dolore nella sua voce è ancora più straziante.
«Non-non mi piace che-che Drew sappia di avere il controllo su di me» sputo fuori aggrappandomi alla sua maglietta.
«Io lo ammazzo» sibila stringendomi a sé. «Guardami, Liz» non piango mai, ma questa è in assoluto una delle volte peggiori. «Lui non ha alcun controllo su di te, okay?» è la prima volta che trovo un paio di occhi azzurri così rassicuranti e colmi d'affetto.
«Un caso umano peggiore di me non potevi trovarlo» sorrido debolmente e sospiro.
«Non capisco tante cose di te, e non ti forzo a dirmele, ma questo non fa di te un caso umano. A volte il passato fa molto male, e condiziona il tuo presente. Non per forza è sbagliato: il dolore esige di essere vissuto, Liz» mi carezza i capelli. Colgo la citazione di Colpa delle Stelle e sorrido. Non poteva scegliere una frase migliore. Vorrei tanto aprirmi con lui e dargli tutte le informazioni che merita, ma ho davvero paura di ciò che potrebbe pensare dopo di me, perciò mi limito a ringraziarlo mentre ci dirigiamo nuovamente verso il dormitorio.
Jace mi lascia nel parcheggio e mi saluta andando a fare gli allenamenti, io tiro fuori le chiavi della macchina che tengo nella borsa ed imbocco la strada per il supermercato. Ci vuole un po' di tempo, che volge tutto in pensieri sconnessi su Drew. È evidente che sia a conoscenza dell'attrazione che provo verso di lui, ed è palese lo sguardo con il quale mi squadra, come se mi avesse in pugno e potesse decidere se farmi la donna più felice del mondo o spezzarmi e lasciarmi a marcire per terra. Ha lo stesso sguardo che aveva mio fratello quando martoriava il mio corpo e la mia mente, e non voglio assolutamente che la storia si ripeta. Devo stare il più possibile alla larga da Drew, non sono il suo giocattolo.
Non mi accorgo nemmeno di essere arrivata al supermercato. Prendo rapidamente le cose essenziali e vorrei andare ovunque tranne che da Annabelle. A pochi metri da Drew.
Forza e coraggio Liz.
Inspira, espira.
Non permettere a nessuno di farti abbassare la testa. Questo lo diceva sempre mia madre. Dio, in momenti come questo sento la sua mancanza come una crepa che mi squarcia a metà.
Salgo di nuovo in macchina ed in poco tempo sono a casa di Annabelle. Scendo con le buste della spesa ed attraverso rapidamente la strada, desiderando di rifugiarmi all'interno dell'alto cancello di ferro.
«Ti aiuto» tutto il mio corpo si irrigidisce di botto. Le mie mani hanno un fremito quando quelle di Drew mi sfilano le buste dalle dita. Le ritraggo di scatto ed indietreggio come se mi avesse ustionato. La confusione è evidente sul suo volto.
«Che cos'hai? Prima te ne sei andata come se stessi scappando da me» chiede aggrottando la fronte.
Mi riprendo le buste con uno strattone e lo guardo dritto negli occhi.
Mettilo al suo posto, Liz.
«Te lo ripeto una volta sola, Drew» mi avvicino minacciosamente a lui, che sembra sorpreso. «Io non ci vengo a letto con te, né tantomeno voglio essere il tuo giocattolo, quindi fai meglio a starmi alla larga, da me non otterrai un bel niente» scandisco lentamente ogni parola, cercando di impregnarla con tutta la rabbia, il disgusto, ed il dolore che provo ed ho provato per anni.
«Ma cosa ti passa per la testa?» sembra veramente indignato, e per un secondo la mia sicurezza vacilla, ma mi riprendo all'istante. «Sei nuova, non conosci nessuno, ti hanno derisa davanti a tutti... Sto solo cercando di essere gentile, ma a quanto pare sei proprio come tutte le altre, pensate sempre che se un ragazzo sia carino con voi è perché vuole portarvi a letto» si avvicina ancora di più, il suo viso a pochi centimetri dal mio. Deglutisco ferita nell'orgoglio. «Non siete così speciali come credete, iniziate a scendere dai piedistalli» sibila e si gira di scatto, allontanandosi rapidamente. Non può averla vinta così facilmente.
«E tu smetti di credertela in modo così assurdo, che tanto non ti calcola nessuno!» urlo sentendo la rabbia crescermi dentro. Si gira e mi raggiunge, sovrastandomi con la sua altezza.
«Ma che ne sai tu di me? Sei solo una verginella presuntuosa e disperata, terribilmente sola, che si consola dicendosi che sono gli uomini ad essere stronzi e che vogliono solo sesso!» sbraita. Non sa nulla di me, non ha idea di quanto quello che ha appena detto mi abbia ferita dentro, di come ogni parola sibilata mi abbia lacerato la carne. Sento ogni difesa, ogni sicurezza crollare ed ammassarsi in una montagna di pezzi di vetro. Devo sembrare davvero tanto sconvolta, perché l'espressione di Drew tramuta dal vittorioso al terribilmente dispiaciuto in un nano secondo.
«Ho esagerato, Liz-» non gli do il tempo di finire che gli assesto un pugno sul naso e scappo verso casa, afferrando le buste e percorrendo di corsa il vialetto, mentre le mie lacrime si mischiano alle goccioline di pioggia che stanno iniziando a cadere con la stessa frequenza con cui i pezzi del mio autocontrollo cadono a terra.
Dolore, dolore e ancora dolore: provo solo quello da quando sono in America.
Spalanco la porta di casa e me la richiudo alle spalle, mentre respirare sembra divenire nuovamente una cosa normale.
Inspira, espira.
Contrai, rilascia.
Inspira, espira.
Contrai, rilascia.
Mollo le buste sul tavolo e mi lascio cadere sul divano. Spero veramente che Annabelle non mi veda in queste condizioni, ne ho abbastanza di cattiverie per oggi.
«Ti ho detto che non me ne frega un cazzo che non puoi!» una voce maschile carica di rabbia riempie la casa.
«Cosa dovrei fare? Che dico a mia sorella?» questa è... Annabelle?! Non ho mai sentito la sua voce così spaventata.
Mi sporgo in salotto e vedo Annabelle e Gale, il suo ragazzo, che stanno chiaramente discutendo di qualcosa. Lui è troppo vicino, e le sta stringendo un braccio troppo forte. Il cuore prende a battermi rapidamente in petto.
«Devi venire con me per il Ringraziamento, mia madre deve vedere che ho trovato qualcuno alla mia altezza» che stronzo di...
«Non sono un oggetto Gale, né un trofeo da mostrare alla tua famiglia...» non la lascia finire, la sua mano destra scatta dietro la nuca di Annabelle e fa presa sui suoi capelli, gli occhi neri deviati dalla rabbia. Un gemito di dolore le sfugge dalle labbra, ed io reagisco istintivamente. Scatto in avanti e gli do una spallata, facendogli perdere l'equilibrio e la presa sui capelli di Annabelle.
«Liz!» è troppo sconvolta per mascherare le emozioni che le passano in viso, e distinguo chiaramente la paura. Credo che questa immagine rimarrà impressa a fuoco nella mia mente, mi sembra di vedere me appena un paio di mesi fa, e per quanto Annabelle non mi stia simpatica, non posso lasciarle vivere ciò che ho vissuto io, nemmeno lontanamente.
«Stanne fuori» ringhia Gale, e si avvicina minacciosamente. La paura prende il sopravvento ed indietreggio fino a ritrovarmi spalle al muro. Quando non riesco più a sfuggire alla sua follia malsana scivolo lungo il muro, mentre i ricordi mi invadono e l'indifferenza che ho provato fin troppe volte quando mio fratello abusava di me torna in superficie, torbida e minacciosa. Riesco a sentire il cervello che si spegne ed il corpo che si annulla, pronto a ricevere le più dolorose percosse. Tante, troppe di quelle volte...
Il colpo che aspetto di incassare non arriva, così alzo timorosamente la testa e vedo che Annabelle ha poggiato le mani sul petto di Gale e lo sta trattenendo. «Va bene! Va bene! Verrò con te, ma lasciala stare, ti prego, ti prego Gale, lasciala in pace...» sta... Piangendo? Non ho mai visto, né mi capacito che Annabelle stia supplicando questo stronzo in questo modo. Ma so cosa si prova, la paura di ricevere uno schiaffo che sai ti lascerà il segno, la paura di esserci il secondo prima, e non esserci più quello dopo...
«Vedi di non contrariarmi mai più» Gale distende i pugni ma, ancora furioso, prende la sua giacca e se ne va sbattendo la porta. Annabelle si lascia cadere accanto a me e noto che ha qualche piccola ciocca strappata dove Gale l'ha afferrata.
Non dice nulla, si limita a sospirare, e vedo una lacrima correre lungo la sua guancia, tracciando un solco nel profondo strato di fard. E mi sento terribilmente vicina a lei, in questo momento.

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