35. Femmina Alfa

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«Come? Dove sei?» Salto in piedi e corro al piano superiore, iniziando a frugare nell'armadio alla ricerca di un paio di jeans ed una maglietta con cui sostituire gli attuali vestiti che uso per dormire. In cosa si era cacciata? Incinta per di più! Dannazione, Annabelle!
«Sono nella discoteca sul lago, poco prima del Luna Park.»
«Non muoverti, sto arrivando.»
Infilo il telefono in tasca e alla velocità della luce mi ritrovo in macchina, giro la chiave nella toppa e schizzo sull'asfalto. Picchietto ansiosa le dita sul volante, e più il paesaggio scorre fuori dai finestrini, più i dubbi si insinuano nella mia testa. Non ho chiesto ad Annabelle il nome della discoteca, dove si trova di preciso, e ovviamente quando provo a richiamarla non mi risponde. La mia rabbia cresce di metro in metro. Come si fa ad essere così irresponsabili?
Quando avvisto un'insegna luminosa sbucare fra gli alberi sterzo bruscamente e imbuco la stradina sterrata. Man mano che mi inoltro sento la musica diventare sempre più alta, finché il locale non compare nella mia visuale e la mia rabbia è ormai all'apice del possibile. Spero per Annabelle che sia qui, altrimenti la ucciderò con le mie stesse mani.
Scendo sbattendo la portiera, e solo quando i miei piedi incontrano il lastricato e arrivo a qualche metro dalla porta d'ingresso mi rendo conto che sicuramente la musica mi bucherà i timpani, sarà pieno di gente e la puzza di alcol mi farà venire il voltastomaco. Per un secondo penso di chiamare Jace per chiedergli di aiutarmi, ma lui non sa nulla di Annabelle, e lei sicuramente non ne sarebbe felice. L'altra mia possibilità è Drew, ma gli ho chiaramente detto di non avere bisogno di lui, oltretutto nessuno sa della gravidanza a parte me. Stringo i pugni e attingo alla mia determinazione. Non ho mai avuto bisogno di nessuno in diciotto anni, ho contato sempre e solo su di me, sono stata io a farmi forza, io a sopravvivere giorno dopo giorno con il peso di ciò che mi ha fatto mio fratello, io a dirmi che ce l'avrei fatta quando piangevo da sola nel silenzio della mia stanza. Sempre e solo io. Ed ora è il momento di dimostrare a me stessa che posso farcela come ce l'ho sempre fatta, senza Jace, Drew o chicchessia.
Non c'è nessuno a bloccare la porta d'ingresso, così entro indisturbata, e come previsto corpi sudati e grondanti alcol scivolano gli uni sugli altri al ritmo di una musica spacca timpani. Trattengo il disgusto ma soprattutto la cena nel mio stomaco e scivolo lungo il muro. Da fuori il locale non mi sembrava grandissimo, ma ora che mi trovo all'interno devo ricredermi, perché questo dannato muro sembra infinito, e l'odore acre della muffa si insinua nel mio naso. Come si fa a tenere aperto un posto del genere? Ma soprattutto, perché ci viene così tanta gente? Deduco sia per il fatto che a Louisville non ci sono tantissimi locali e questo è il più vicino all'università.
Quando finalmente le mie mani incontrano un angolo tiro un sospiro di sollievo. Mi allontano leggermente dal muro e riesco a distinguere un piccolo bar grazie alle luci stroboscopiche. Scivolo fra un ragazzo altissimo con i capelli rasati e una ragazza bassa con più rossetto che labbra e riesco ad arrivare al bancone. Il cuore mi martella nel petto per l'ansia e sto ansimando, sia per la fatica che per la mancanza di aria pulita. Una ragazza bionda sta lanciando cocktail in ogni direzione, e mi avvicino a lei.
«Scusa» urlo per farmi sentire sopra la musica, e quando mi nota mi rivolge un sorriso di convenienza che deve aver fatto talmente tante volte che ormai le viene naturale.
«Dimmi» urla di rimando, e anche se il sorriso campeggia rigoglioso sul suo viso, gli occhi intimano di fare in fretta perché non ha tempo da perdere.
«Hai per caso visto una ragazza alta, con i capelli castani e gli occhi azzurri?»
La bionda alza impercettibilmente gli occhi al cielo, e da una parte la capisco. Deve essere stressante assecondare ogni richiesta della gente.
«No ma Grayson, quel ragazzo laggiù,» mi indica un bodyguard largo quanto due armadi accanto ad una porta dall'altro lato della stanza. «Forse sì, chiedi a lui.»
La ringrazio e attraverso di nuovo la sala, stavolta passando in mezzo alle persone, ignare del casino che sta succedendo e che non mi facilitano il compito. Quando raggiungo il bodyguard sto ansimando e la mia gola è sempre più stretta. Questo dovrebbe essere uno sport olimpionico per quanto è faticoso, e il bello è che di Annabelle non ho visto alcuna traccia, e spero per lei che sia qui ma che non ci siamo ancora trovate, altrimenti potrà considerare la sua vita giunta al termine.
«Scusami» urlo picchiettando col dito sulla spalla di Grayson, che si volta confuso. I suoi occhi mi sorpassano di netto, e sono costretta ad alzare una mano per farmi notare dal basso.
«Oh, scusa ragazzina non ti avevo visto» ha la voce profonda e capace di congelarti sul posto per quanto è tenebrosa.
«Scusa tu, per caso hai visto una ragazza alta, castana con gli occhi azzurri?»
Grayson si picchietta un dito sul mento coperto dalla barba rasata, poi schiocca le dita. «Sì.»
Tutta la tensione e l'ansia scivolano via e mi sento meglio.
«L'ho vista entrare un'ora fa e non è più uscita, quindi è qui sicuramente.»
«Grazie, grazie mille» esclamo, poi mi rituffo nella folla.
Mentre navigo fra i corpi mi rendo conto di essere stata di nuovo una stupida, chissà quante ragazze castane, alte e con gli occhi azzurri avrà visto stasera il bodyguard. Proprio quando il pensiero finisce di attraversare la mia mente, vedo la mia ragazza castana, alta e con gli occhi azzurri, e per poco non svengo per il sollievo. Indossa un vestito stretto nero e le inseparabili décolleté del medesimo colore.
«Annabelle!» grido sgomitando fra le ultime persone che mi separano da lei, indecisa se abbracciarla o strozzarla. La seconda opzione prevale quando la vedo aggrappata alle spalle di un ragazzo, i capelli a coprirle il viso, sono ad un passo da lei quando ad un tratto il ragazzo le gira di scatto la testa e la bacia non proprio delicatamente. Spalanco la bocca sgomenta, ma agisco in fretta e la tiro per un gomito, staccandola dallo sconosciuto, la rabbia che torna a bruciarmi nello stomaco quando noto gli occhi lucidi e la puzza di alcol che le aleggia intorno.
«Che cazzo fai?!» sbraito, e finalmente dopo avermi squadrata con gli occhi socchiusi mi riconosce.
«Liz!» esclama, come se fosse sorpresa di vedermi. «Che ci fai qui?»
«Come che ci faccio qui?!» urlo, tirandomi i capelli per non prenderla a pugni. «Mi hai chiamata tu dicendomi che avevi bisogno di aiuto!»
«Oh, quello, no non è niente, ho trovato Dylan e mi ha aiutata lui, avevo solo la nausea» dice con una risata ubriaca. Mi viene il voltastomaco, poi realizzo ciò che ha appena detto.
«Dylan? Dylan chi?»
«Emerton.»
Sgrano gli occhi e sia le braccia che la mascella mi cadono a terra. Mi volto di nuovo verso lo "sconosciuto" e degli inconfondibili capelli biondi e occhi azzurri confermano il mio peggior presentimento. Anche lui deve essere ubriaco, perché sta cercando confuso Annabelle, finché non ci vede e l'espressione rude dei suoi occhi mi fa venire i brividi.
«Ora ce ne andiamo» decreto, e prima che possa dire qualunque cosa afferro il braccio di Annabelle e la trascino fra la folla che sembra essere triplicata, oppure sono solo io che mi sento come se la stanza si stesse richiudendo sopra di me.
«Non voglio andarmene!» si oppone lei, piantando i piedi a terra. Lancio uno sguardo furtivo oltre le sue spalle e mi accorgo che Dylan ci ha individuate e puntate come un toro punta un mantello rosso.
«Non è il momento, Annabelle, ne riparliamo a casa!» grido disperata, strattonando il suo braccio, ma lei non vuole saperne. «Cazzo, Annabelle, muoviti!»
Dylan è sempre più vicino, e la familiare paura si insinua nei miei polmoni, impedendomi di respirare. Finalmente riesco a farle staccare i piedi dal terreno e farle percorrere qualche altro metro.
«Voglio rimanere qui! Lasciami stare! Non voglio tornare a casa, alla realtà!»
Le lancio un'occhiata ma sono troppo arrabbiata e spaventata per provare compassione di fronte alle lacrime che le rigano il viso, così continuo a tirarla e finalmente, urtando prima qualcuno poi qualcun altro, riesco ad arrivare all'uscita. Non posso credere all'aria che mi inonda i polmoni, è talmente tanta e fredda che tossisco, come se il mio ossigeno fosse diventato il fumo del locale. Il mio cellulare dice che sono stata dentro poco più di venti minuti, ma mi sono sembrate ore. Continuo a tirare Annabelle lungo il lastricato fino alla macchina, ma lei non vuole saperne di camminare.
«Ti prego Liz, so quello che sto facendo» insiste, ma a questo punto la mia rabbia supera anche il limite possibile, e comincio a sbraitare.
«No che non lo sai! Sei incinta e ubriaca in un locale disgustoso mentre limoni con Dylan Emerton!»
Lei sgrana gli occhi, ancora più azzurri a causa delle lacrime. Sembra che stia per dire qualcosa, ma ci ripensa e si infila le mani nei capelli, nascondendo la testa dietro i gomiti.
«Non volevo tutto questo» grida ad un certo punto, e nonostante la rabbia sussulto per lo spavento. «Io volevo solo ricominciare la mia vita cancellando gli anni passati! E credevo di avercela fatta! Invece la situazione è solo peggiorata!»
«È andata così Annabelle! Devi crescere e imparare ad affrontare i problemi!» le grido di rimando. Non capisco nemmeno perché lo stiamo facendo, ma forse stiamo semplicemente sfogando entrambe la nostra frustrazione dopo tutto ciò che ci è successo.
«Sono cresciuta abbastanza in fretta! Voglio iniziare a godermi la vita come tutti i giovani! Voglio ridere fino alle lacrime, bere vodka fino al mattino e ballare fino allo sfinimento! Voglio viaggiare, girare il mondo e conoscere gente nuova, voglio innamorarmi e costruire qualcosa con le mie mani! Non voglio un bambino! Non voglio che sia figlio di Gale! Non voglio questa vita!» grida così forte che ho paura possa esploderle un polmone, ma le sue parole mi fanno arrabbiare solo di più.
«È inutile che fai i capricci come una bambina di due anni, Annabelle! Questa è la vita che ti è stata data, e credimi è molto più fortunata di tante altre!»
«Fortunata?» esclama incredula, il mascara che disegna righe spesse e nere lungo le sue guance. «I miei genitori sono morti! Il mio fidanzato mi ha picchiata per un anno e sono incinta per una violenza! Non c'è un bel niente di fortunato!»
«Hai avuto l'amore di una famiglia nel periodo più importante della vita di una persona e un amico come Drew!»
Annabelle tace e osserva il pavimento, poi solleva la testa, lo sguardo duro. «Non mi basta.»
«Allora non so che farti» dico esasperata, incrociando le braccia sullo stomaco. «A me sembra davvero tanto.»
Certo, io ho avuto ed ho Lena, ma non sarà mai l'equivalente di una famiglia vera e propria, anche se la considero la mia unica famiglia. Sono cresciuta da sola con l'immagine di mio fratello che era quella di un mostro, e i capricci di Annabelle, la sua ingratitudine, mi fanno incazzare a morte. So che i suoi genitori non ci sono più, ma almeno li ha avuti quel tanto che le ha permesso di crescere felice.
«So cosa stai pensando» dice, finalmente con un tono di voce normale. «Non credere che il fatto che siano morti quando avevo sedici anni sia stato meglio della morte di tua madre quando ne avevi tredici. Loro non c'erano mai, lavoravano tutto il giorno. Sono comunque cresciuta da sola.»
Non capisce cosa voglio dirle, così ci riprovo. «Io non sto dicendo questo, sto dicendo semplicemente che c'erano se ne avevi bisogno, potevi tranquillamente alzare la cornetta e sapevi che qualcuno ti avrebbe risposto, oppure potevi contare su tua sorella. Potevi sognare impaziente di rivederli presto, potevi correre ad abbracciarli quando erano sull'uscio di casa, oppure raccontare a tua madre del tuo primo cuore spezzato. Io non ho fatto in tempo. E questo è tanto Annabelle, è così dannatamente tanto che mi spezza il cuore vedere come tu lo sminuisca in questo modo.»
Lei deglutisce, finalmente sembra riflettere sulle mie parole, ma non fa in tempo a dire altro che Dylan esce sbattendo la porta del locale. Entrambe ce ne eravamo totalmente dimenticate. Annabelle si gira in contemporanea al mio sguardo che si alza su di lui, e tutte e due sussultiamo sul posto. È davvero buio, e in un primo momento non riesce a vederci, così faccio cenno ad Annabelle di fare silenzio, e ci accovacciamo accanto alla portiera. Dylan si guarda intorno circospetto, la sua sagoma è illuminata dalla luce davanti all'entrata del locale, e l'unico rumore che sento, anche più forte di quello della musica, è quello del mio cuore nelle orecchie. Sembra proprio un predatore, un assassino, alla ricerca della sua vittima, ovvero io ed Annabelle. La paura mi fa tremare le ginocchia, e sento il panico stringermi la gola, ma mi pizzico con forza le braccia e stringo gli occhi per non lasciare che un attacco mi lanci dritta dritta fra le sue braccia. Mentre siamo in silenzio ad osservarlo che girovaga davanti all'ingresso, mi rendo conto che è lo stesso Dylan che sembrava così affascinante, simpatico, gentile, carismatico... e ancora una volta noto come le persone più violente sono quelle che meno ci aspettiamo. Non dico che mi sono fidata di lui, ma lo consideravo un amico.
«Che facciamo?» la voce terrorizzata di Annabelle, come non l'ho mai sentita, mi riporta alla realtà, in cui lui non è altro che uno dei tanti mostri che popolano questo Pianeta.
«Dobbiamo salire in macchina il meno rumorosamente e il più velocemente possibile, poi ce ne torniamo a casa» dico, sporgendomi un po' per vedere che Dylan si sta avvicinando al parcheggio.
«Ho paura, Liz» sussurra Annabelle, condividendo con me per la prima volta un'emozione, e quanto vorrei che fosse successo in un altro momento, ma questo mi ricorda proprio la cosa che ci unisce più di tutte: lo stesso passato, la stessa violenza, la stessa paura.
«Non aver paura» le dico, anche se la mia è probabilmente dieci volte la sua, e le stringo una mano per darle forza. «Al mio tre saltiamo in macchina e ce ne andiamo da questo maledetto posto.»
Annabelle annuisce, e io inizio a contare, ma proprio quando sto per dire «tre» e lasciare la sua mano, un paio di fari ci illumina, svelando a Dylan la nostra posizione. Lui ci punta di nuovo, e viene a grandi passi verso di noi. Io ed Annabelle scattiamo in piedi, ma non riesco a trovare le chiavi della macchina. Stupida, stupida, stupida Liz! Perché non le avevo tirate fuori prima? Mannaggia a me!
Finalmente le trovo e sblocco l'auto.
«Sali in macchina!» grido ad Annabelle, ma lei rivolge un'occhiata a Dylan, sempre più vicino.
«Aspetta, e se...»
«Sali in macchina!» ripeto, e lei finalmente mi dà retta. Volevo solo essere sicura che non sarebbe corsa via quando saremmo entrate, mi aspetto di tutto da lei.
Spalanco la portiera, ma proprio quando sto per entrare Dylan mi afferra per la vita e mi tira indietro, sbattendo contemporaneamente me e lo sportello contro la macchina. Poi mi sfila le chiavi dalla mano e la chiude. Annabelle è in trappola ed io pure. Provo a divincolarmi per sfuggire alla sua presa, ma lui stringe più forte le dita attorno ai miei polsi e me li solleva, piegandoli sul tettuccio. Il mio petto si alza e si abbassa rapidamente, mentre il panico si dirama nel mio organismo come un veleno. Gli occhi di Dylan sono irriconoscibili, cupi e maligni. Con un ginocchio allarga le mie gambe, così da farmi stare immobile. Sento le mani di Annabelle sbattere contro il finestrino e gridare aiuto, ma non c'è nulla da fare e nessuno disposto ad aiutarci.
«Non erano questi i miei programmi» la sua voce è minacciosa, una zaffata di whisky mi fa girare la testa. È tutto troppo familiare. Neanche mi rendo conto di stare ansimando. Le vertigini aumentano. «Volevo scoparmi quella troietta di Annabelle e finirla lì, ma tu hai deciso di rovinare i miei piani.»
Non posso credere che sia lo stesso Dylan che mi saluta ogni giorno quando mi vede nel campus, o che mi offre da bere quando ci ritroviamo entrambi in biblioteca, eppure sono proprio i suoi occhi quelli che mi squadrano crudeli, e sono proprio le sue labbra quelle che scivolano acide lungo il mio collo. Quelle che lo corrodono. «Quindi, cara Liz, se non posso scoparmi Annabelle...»
Con una sola mano tiene i miei polsi e con l'altra comincia a slacciarsi la cintura.
«No» dico in un sussurro, talmente piano che credo di averlo solo pensato. Grosse e pesanti lacrime mi sgorgano dagli occhi e scivolano lungo il mio collo fino all'incavo del seno. Bruciano, consumano la mia pelle, cariche di dolore. «Per favore.»
«Come?» ringhia Dylan sbattendomi contro l'auto. Le mie costole urlano per il dolore, per un attimo non riesco a respirare, e spero di smettere definitivamente. Invece i suoi denti si conficcano nel mio labbro inferiore e con la mano libera si infila sotto la mia maglietta, sollevandola fino all'ombelico. Sento il sapore del sangue fra i denti, che si mischia a quello ancora più disgustoso del whisky che proviene dalla bocca di Dylan. Vorrei vomitare. Il panico ha ormai raggiunto ogni parte del mio corpo, e piano piano sta risalendo fino al cervello, dove la sua corsa si arresterà assieme alla mia resistenza. Ma finché ancora ne ho le forze, finché ancora spero di farcela e mi ripeto che ce l'ho sempre fatta io e solo io, da sola, lotto per respingerlo. Cerco di chiudere le gambe per tirargli un calcio, anche se è più forte, cerco di girare la testa, ma lui non si arrende e mi morde la pelle del collo, della spalla, mentre la sua mano ha ormai raggiunto il mio reggiseno. Scuoto violentemente il busto per provare a divincolarmi, ma Dylan non desiste, anzi preme il suo corpo sul mio, così mi ritrovo spiaccicata contro la macchina, senza uno spiraglio di spazio per muovermi.
«Non farlo, ti prego» provo a supplicare un'ultima volta, ma lui si slaccia i jeans, ignorandomi.
Il panico arriva finalmente al cervello, e mi lascio andare all'inevitabile come facevo con Sam, lascio che ogni emozione si appassisca e muoia e che le sensazioni si spengano una dopo l'altra come lampadine bruciate. Fino a quando non sento nulla, fino a quando mi rendo conto che da sola non posso farcela, che le mie sole forze non bastano. Ed è troppo tardi per rimediare.
Quando sono totalmente rassegnata a ciò che sta per succedere... non succede niente, anzi, mi sembra di essere di nuovo libera. Apro lentamente gli occhi, le mie sensazioni sono intorpidite. Giro piano i polsi, e mi accorgo che non c'è più nulla a pressarli sul tettuccio della macchina. Me li porto davanti agli occhi e noto due sottili linee rosse lungo la circonferenza, a ricordarmi che tutto questo non me lo sono immaginato. Alzo lentamente lo sguardo dai miei polsi e nella penombra distinguo due figure, una sopra l'altra, muoversi veloci. Quando riconosco i capelli castani di Drew e il rosso vivo del sangue, è come se i cinque sensi mi colpissero tutti insieme. Ad un certo punto ci sento di nuovo, e i gemiti sofferenti di Dylan mi arrivano chiaramente alle orecchie.
«Drew!» esclamo, mentre il sollievo mi inonda. Non posso credere che sia qui. Quando Dylan smette di muoversi lo lascia andare e viene verso di me, ancora appoggiata alla macchina, sconvolta.
«Stai bene?» mi chiede, allarmato, i suoi caldi occhi verdi che risplendono nel buio. Annuisco debolmente, poi scoppio a piangere, coprendomi il viso con le mani. Le braccia di Drew mi circondano e mi stringono contro il suo petto. «Va tutto bene, ci sono io adesso.»

Ciao fiori di campo!🙊

Sono ancora viva! Mi dispiace per il ritardo *bla bla bla scuse bla bla bla*
L'estate mi distrugge la vita.
In ogni caso, ecco il nuovo capitolo – ci ho messo un secolo ma sono davvero molto soddisfatta ed è lunghissimo amatemi ciao –, adesso che la scuola (purtroppo o in questo caso per fortuna) è ricominciata posso tornare ad avere una logica negli aggiornamenti! Avevo in mente di aggiornare Friends ogni domenica (sempre se ci riesco, ovviamente, ma credo di potercela fare).
Poi ho un'altra notizia che in seguito scriverò meglio sulla storia che riguarda, ovvero Il Nostro Addio Infinito. Ho intenzione di ricominciare a scriverla, perché ho riletto Il Tuo Meraviglioso Sorriso più volte e mi è finalmente tornata l'ispirazione per far rivivere la storia. Ovviamente tutto dipende da voi e da cosa ne pensate e se avete ancora voglia di leggerla, sicuramente NON mi prenderò l'impegno di scriverla solo per una ventina di persone, mi piacerebbe tornare all'entusiasmo dei capitoli de: Il Tuo Meraviglioso Sorriso, riguardo cui ho una notizia che vi farà urlare di gioia ma che vi rivelerò più avanti.
In pratica non vi ho detto niente ahahah.

Comunque, commentate (TUTTI!) qui sotto con quello che pensate riguardo il capitolo e le idee che vi ho esposto qui sopra, e se non volete commentate con il nome dell'unicorno che comprerete a vostro figlio(?) o con il numero di rotelle che non funzionano nel mio cervello.

Vi amoooooh.♥️

Al prossimo capitolo!🔜

-A

FriendsWhere stories live. Discover now