4. Migraine

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Appena calato il sole Josh prese coraggio e si diresse a casa a passo molto lento.

Ormai le nuvole e il colore del cielo erano diventati un tutt'uno di malinconia e tristezza.
Non girava oramai nessuno nella sua via, non che di solito fosse affollata.
Josh conosceva più o meno tutti i suoi vicini, pochi di loro avevano una vita attiva e colma di impegni.

I Cowards e i Tunders erano pensionati, per quel che ne sapeva lui i primi passavano la giornata tra risate e telenovela ad un volume talmente alto che con assoluto silenzio si poteva percepire anche da fuori, in fondo alla via; i Tunders, invece, uscivano tutte le mattine alle sei e tornavano la sera, cosa andavano a fare lo sapevano solo loro, sembravano molto attivi, anche se pure Josh usciva la mattina presto e tornava la sera tardi, eppure di attivo in lui non c'era nulla.

L'unica vera vita impegnativa e in pieno svolgimento era quella dei Swans, una famiglia formata dal padre avvocato, la madre casalinga e i due figli , Rosy e Adrew, di sette e dodici anni, anche le risate dei due potevano essere percepite da lontano, ma la cosa positiva era che quando Josh usciva di casa i bambini dormivano e dormivano anche quando arrivava.

"Che schifo", furono le prime parole che gli rivolse il padre appena mise il piede dentro casa.
Josh non rispose, stette zitto.
"Dov'è mamma?", chiese invece, cambiando discorso.
"All'ospedale", rispose.
"Perché è all'ospedale?", chiese togliendosi la felpa e appoggiandola sulla sedia vicino alla porta.
"Che cazzo ne so, è depressa!", rise sorseggiando la solita birra dalla quale non si separava neanche a morire.
Magari morisse, pensava sempre Josh, non con cattiveria, era convinto che sua mamma sarebbe stata meglio deceduta.
Suo padre non era mai stato affettuoso e non aveva mai voluto figli, ma certo il suo atteggiamento verso Josh sarebbe stato diverso se al posto di buttare nel cesso la sua vita avesse studiato e si fosse comportato da figlio modello.

"Non solo ho un figlio che non volevo, ma è pure drogato!", da lì partì il primo schiaffo.
"Dove cazzo sei stato tutt'oggi? Ogni giorno è così! La mattina ti alzi e torni la sera, per fare cosa? Drogarti! Sei inutile!", Josh non lo guardava negli occhi ma poteva benissimo immaginare l'espressione di disgusto che aveva suo padre in quel momento.
Non rispondeva mai agli insulti, sia per paura sia perché voleva che la conversazione tra loro due finisse il prima possibile.

Quella sera però si diede del codardo, ed immaginò Tyler deluso da lui per non avere reagito.
Dava l'impressione del duro? Lo prendevano tutti per un cattivo ragazzo? Allora anche quel ragazzo, quel pomeriggio, doveva essersi fatto un'idea simile di lui, ma poi si ricordò che si chiamava Tyler, si ricordò del sorriso felicemente inquietante che sfoggiava sul suo viso e non poté fare a meno di pensare che quel pomeriggio aveva pensato di Josh tutto tranne che a ciò che l'aspetto lasciava trasparire.

"Tu non fai niente per impedirmelo, pensi che sia tanto stupido da credere che ti importi di quello che faccio una volta uscito da questa stramaledetta casa?", urlò in faccia al padre, che rispose con uno spintone e un secondo schiaffo.
La guancia iniziava a pulsare, tuttavia Josh non ci fece neanche caso, non perché ne fosse abituato, tanto perché per una volta aveva risposto al padre e quest'ultimo aveva assunto un'espressione stupita e in parte come consapevole di essere davanti alla ragione.

"Fila in camera o te ne do delle altre", disse con la voce tremolante e Josh ubbidì, anche se due sberle gli arrivarono comunque.

Appena entrò in camera si gettò sul letto e chiuse gli occhi, senza tuttavia addormentarsi.
Chissà com'è il padre di Tyler, si chiese, e quando per un momento cercò di immaginarlo venire trattato come veniva trattato lui, si strofinò forte la faccia per rimuovere quell'immagine al più presto.
Sperava tanto di rivederlo il giorno dopo e magari questa volta di parlarci.

Senza preoccuparsi di mettere il pigiama, Josh si sfilò i pantaloni e si mise sotto le coperte a pancia in giù, abbracciando il cuscino.

L'odore delle lenzuola era sempre stato quello da anni e anni, lavato sempre con lo stesso ammorbidente dalla madre, che una volta si prendeva cura di lui, non che ora non lo facesse, ma a causa della violenza del padre era caduta in un'enorme depressione che portava Josh a preoccuparsi ogni tanto se fosse ancora viva.

Nonostante tutto le voleva bene, si ricordava quando da piccolo le rimboccava le coperte e quasi sembrava un hot dog dentro a due panini di coperte, oppure quando insieme d'inverno preparavano la cioccolata calda e Josh fingeva di servirla alla madre quasi fossero in un bar.
"Prego, signora", diceva simulando la voce di un adulto.
"La ringrazio molto", rispondeva mamma.
A quei tempi papà era distaccato ma non irruente, ogni tanto Josh serviva anche a lui a mo di ristorante il piatto di carne e verdure preparato dallo "Chef Conner", di altissima rilevanza in America.
"Manca di sale", rispondeva il padre, mandando all'aria tutta la scena, eppure ridevano. Ridevano tutti e quattro insieme.
Rideva Jordan.
Ridevano mamma e papà.

Come da modulo quando sua madre entrò in casa il padre iniziò una serie di discorsi riguardo le tasse che si trasformarono in veri e propri urli.
"COL CAZZO CHE TI COMPRO LE MEDICINE PERCHÉ SEI DEPRESSA! RISPARMIA, CHE NON FAI NIENTE DALLA MATTINA ALLA SERA!", le urlava, e intanto accompagnava quei piacevoli suoni con pugni talmente forti sul tavolo che ogni volta dava l'impressione di potersi rompere.
Era vero che la madre non faceva nulla, papà perlomeno lavorava, faceva l'assistente di un dentista, però lavorava.

Josh cercò in tutti i modi di coprirsi le orecchie con il cuscino, ma quando sentì la prima bottiglia rompersi a terra (sperava che si rompessero tutte a terra) dovette trovare un altro modo per non sentire più nulla, e così si alzò veloce dal letto e butto nel suo corpo tutto ciò che trovava.
Buttò giù tutto.
Basta sentire, basta pensare, basta vivere.
Basta tutto.

Tornò nel letto.
Non appena la situazione si tranquillizzò Josh si sentì più sereno e, anzi, sorrise sul cuscino.

Verso le tre del mattino aprì la finestra e uscì, la leggerezza che lo avvolgeva era impagabile, l'ambiente di casa lo opprimeva, così, nonostante fosse buio pesto, raggiunse Tyler al parco e si sedette di fronte a lui fino al mattino dopo.

"Urlano, urlano, urlano sempre", gli disse in falsetto.
"Hai portato un tuo amico?", chiese, poi l'albero tornò ad essere uno solo.
"Oh, no, sono io", ammise abbassando lo sguardo.

Stava per aprire nuovamente bocca quando...

"Che ci fai qui a quest'ora?", lo sorprese una voce leggera dietro di lui.
Josh si voltò di scatto, facendosi male al collo, ma dopo aver scoperto la persona che nascondeva quella voce, non fece tanto caso al dolore.

Quel bellissimo ragazzo che aveva sperato tutto il giorno di incontrare il giorno dopo era davanti a lui, si strizzò gli occhi per assicurarsi che fosse reale e lo era, rimaneva lì fermo, non spariva. Era reale!
Josh arrossì all'istante e dalla bocca non riuscì a far uscire nulla.
Non poteva credere di avercelo davanti.

Buonsalve tu che stai leggendo questa cosa,
spero che il capitolo ti sia piaciuto!

Come vi pare la storia? Accettabile?

Goner || Joshler [ITA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora