Quando tutto ha origine...

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CAPITOLO 1

Un altro anno, un altro fottuto anno di scuola stava per iniziare. Un altro anno di complete bugie. Avrei mentito ancora a tutti: la mia famiglia, i miei amici, persino a me stesso. Non volevo che si sapesse la verità, nessuno doveva saperla. Neanche Clarabel la poteva conoscere. Lei era la mia migliore amica, ci conoscevamo da 9 anni ormai. Passavamo sempre il tempo che avevamo a disposizione insieme, scherzando e ridendo come degli ossessi. Avrei raccontato una bugia anche ad Angel, la mia vicina di banco. Ci conoscevamo da due anni più o meno. Avevamo fatto amicizia il giorno dopo che fosse incominciato il primo giorno di scuola, dopo aver fatto una figuraccia con i professori. A entrambe volevo veramente bene. Erano la mia gioia, il motivo per cui avevo sempre un sorriso stampato in volto e mentirgli non era di certo un modo per ripagarle, ma non volevo perderle raccontandogli il mio piccolo segreto. Ho saputo fare molto tempo tenendolo nascosto, avrei potuto resistere ancora e ancora.

La sveglia era puntata per le sei meno un quarto. Tuonò possessiva, rimbombando prepotentemente nella piccola stanza. Tentai più volte di ignorarla, ma con scarsi risultati. Decisi di alzarmi, mettendo leggermente a fuoco il resto della mia camera. Non avevo dormito un granché. Il mio corpo si fece di colpo rigido allo sbalzo di temperatura tra il caldo delle coperte e l'aria gelida della mia camera. Guardai intorno, ancora assonnato, e notai di aver trascorso la nottata con la finestra aperta. Mi avviai verso essa per chiuderla ma il mignolo del piede destro urtó lo spigolo del letto vuoto accanto al mio. Partirono insulti causati dal dolore ininterrottamente. Una mini-lacrima mi scese dagli occhi, riscaldandomi la guancia. Zoppicavo, così mi sedetti sul letto a massaggiare quel povero ditino che si era, nel frattempo, gonfiato. Aprii i cassetti del mobile che separava i due letti e ne tirai fuori un paio di calze e un boxer. Nello spogliarmi, l'aria gelida mi sfiorò la schiena creandomi una sorta di formicolii lungo la colonna vertebrale. Era una strana sensazione, ma piacevole. Tirai fuori dall'armadio una t-shirt con i colori della bandiera inglese, un jeans nero e un gilet altrettanto nero: così ero solito vestirmi. Nonostante fosse Autunno, presi un giacchettino leggero che però riscaldava abbastanza bene. Svegliai mio padre e corsi a lavarmi i denti: avevo già perso una ventina di minuti e se partivo tra una quindicina di minuti da casa, sarei arrivato in stazione e avrei perso il treno (non che la cosa mi sarebbe dispiaciuta, ma era il primo giorno!). Intanto che mio padre faceva riscaldare l'auto e ripuliva i finestrini da quello strato di ghiaccio che si era formato durante la notte, io misi la cartella in spalla, staccai il cellulare dalla carica e misi le cuffie nelle orecchie. Fissai a vuoto per qualche secondo il display del cellulare, senza commettere nessuna azione. Quando poi mi ritrovai a scrutare le canzoni che avevo su di esso, feci partire la prima che mi balzò subito all'occhio. Era una tra le tante che amavo moltissimo, non per il cantante o per altro, ma per il testo in sé. Salii in macchina e partimmo. Per un tratto di strada riuscii a stare attento e sveglio, poi quando appoggiai la testa sul sedile morbido, probabilmente mi appisolai di nuovo mentre la canzone continuava a suonare nelle cuffie.

"I still hear your voice when you sleep next to me. I still feel your touch in my dreams. Forgive me my weakness, but I don't know why. Without you it's hard to survive.

'Cause everytime we touch I get this feeling and everytime we kiss I swear I can fly. Can't you feel my heart beats fast, I want this to last, need you by my side..."

Avevo i brividi. Suonavano così veritiere quelle frasi che, pur non sapendo come, mi ritrovai a sognare con esse.
Era un sogno abbastanza piacevole. Ero in una stanza, precisamente in un letto. I flebili raggi solari che penetravano dalla finestra, riuscivano ad illuminare veramente poco. Sentivo delle dita scendere e salire lungo la mia schiena, completamente nuda. Sorrisi, sentendo qualcuno avvicinarsi sempre di più con il volto verso il mio orecchio. Un sussurrò, ecco tutto quello che riuscii ad udire. Un semplice "buongiorno Amore" che però era stato la mia rovina. Quella voce maledettamente bassa e sensuale, accompagnata da un volto non che familiare, si era trasformata nel mio peggior incubo. Sapevo da dove provenisse essa e subito capii di stare peggiorando le cose. Pensavo che non mi piacesse più, cazzo!

Arrivammo in stazione e scesi frettoloso. Una ragazza dalle curve dolci e leggere si stava avvicinando verso di me. Aveva gli occhi di un verde poco intenso, che però non emanava malinconia. Le guance ripiene di lentiggini e i lunghi capelli castani le risaltavo le labbra che facevano contrasto con tutto il resto, essendo truccate da un rossetto un pò troppo rosa. Man mano che si avvicinava sempre di più, potevo notare anche il leggero strato di matita a contornarle la riga degli occhi. Riconobbi subito che fosse Clarabel.
In qualche modo dovetti nascondere la mia espressione sconvolta dal sogno avuto poco prima, ma sfortunatamente non ci riuscii.
«Che hai?!» mi chiese un pó preoccupata.
«Niente, solo un pó di caldo!» risposi. Lei mi guardò stranita ma, conoscendomi, pensava fosse una cosa normale. Ero strano, si. Nei miei modi di fare e comportarmi, in tutto ero veramente particolare. Mi sapevo distinguere da tutti gli altri, anche se però ne ripagavo le conseguenze ogni volta. Ero troppo evidente.

Sul treno, ci sedemmo in un vagone vuoto. Lei fissava ipnotizzata lo schermo del suo telefono, senza degnarmi di uno sguardo. Sicuramente stava sbirciando un pó i fatto degli altri su Facebook. Io invece ero intento a guardare i paesaggi che si potevano intravedere dai finestrini di quella ferraglia. Pinete, laghetti, campi da coltivare erano gli scenari che accompagnavano i nostri viaggi.

«Erick, guarda questa immagine» urlò quasi Clarabel, facendomi sobbalzare dallo spavento. Mi porse il suo telefono e mi mostrò un'immagine. Erano due ragazzi che si baciavano, con naturalezza. Per un attimo provai invidia nei loro confronti. Loro potevano e io no, era tutto quello che pensai.
«Quindi???» chiesi io, mandando giù a fatica la saliva.
«Non ti fa schifo vedere due maschi che si slinguazzano?! A me un pó...» rispose seria. A quelle parole il mondo mi crollò addosso. Come potevo confidarmi con la mia migliore amica se lei aveva schifo di quelli che potevano essere come me?!

Ebbene si: sono Erick Casler, ho 14 anni, frequento la 2* Liceo Musicale e sono Gay!

L'amore é uguale per tuttiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora