Finalmente ti rivedo

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CAPITOLO 22

Diego's Pov

«Ops, scusa! Non volevo, mi dispiace!» tentò di scusarsi Erick, scostandosi leggermente dalla mia presa.

«Erick, sei veramente tu?» chiesi incredulo.

Era abbastanza bizzarro ritrovarselo in una città che distava un po' da dove l'avevo lasciato.

Egli mi fissò per un attimo perplesso, con quello sguardo che intende dire "Ti dovrei conoscere?", quando poi capì chi ero in realtà, sgranò gli occhi abnormemente, mentre sul suo viso compariva un dolce sorriso a trentadue denti.

«Diego, da quanto tempo!» quasi urlò dalla felicità, abbracciandomi strettamente.

«Troppo, mi sei mancato un sacco»

«Anche a me, non ti immagini quanto»

Rimanemmo qualche instante solamente a sorriderci, ma poi la pioggia incessante sembrò accanirsi contro di noi, così optammo per correre ai ripari.

«Che casino» si lamentò, mentre raccoglieva l'ombrello che era volato in terra ed io mi assicuravo che la chitarra sulle mie spalle fosse ancora intatta.

Mi fece spazio sotto l'ombrello, tenendomi a braccetto, proprio come facevamo da piccoli.

Stavamo stretti, quasi appiccicati, ma stavamo bene insieme. Come ai vecchi tempi, quando pioveva e noi ci divertivamo a saltare negli specchi d'acqua che si insinuavano nelle crepe dell'asfalto grigio.

Camminammo sotto il portico di un bar, lo stesso dove ogni mattina facevo colazione da quando ero arrivato a Cremona.

Ci accomodammo tranquillamente ad un tavolino e successivamente ordinammo due tazze di The caldo.

«Come sei cambiato...» mi fece notare, mentre appoggiavo la giacca allo schienale della sedia.

«Già... anche tu non sembri più lo stesso che ricordavo» constatai esterrefatto.

«Come sta Rose?» domandò e gli fui grato che se ne ricordasse ancora, nonostante il tempo che era passato senza vederla.

«Ancora in coma, sembra non voler fare miglioramenti» risposi semplicemente, scrollando le spalle.

Dopodiché tra di noi calò il silenzio, un imbarazzante silenzio.

Non sapevamo cosa dire, sembravamo persino due sconosciuti agli occhi altrui, non eravamo più quei bambini complici di una volta.

Arrivarono le due tazze di The fumante, seguite da alcuni stuzzichini che il bar offriva in omaggio.

Pagai io e ringraziammo cortesemente il cameriere.

Bevvi un sorso.

«È buono, non ti sembra?» chiesi e lui annuì, tornando a sorseggiare.

Mi schiaffeggiai mentalmente. Che razza di domande facevo, stavo facendo la figura dello stupido, ma era lo strano effetto che lui esercitava in me.

Era cambiato dal bambino che ricordavo. Era più diverso, più maturo. I suoi occhi azzurri erano ancora la parte che amavo di più in assoluto in lui, ma era dimagrito, troppo, non assomigliava nemmeno un po' al bambino paffutello che avevo lasciato tempo fa.

Lo osservai con discrezione, mentre bevevo il The rovente.

Aveva le guance rosse, forse a causa del freddo che riusciva come minimo a penetrarti le ossa, gli occhi puntati sul tovagliolo sotto il piattino di stuzzichini e il ciuffo spostato ordinatamente dietro l'orecchio.

L'amore é uguale per tuttiWhere stories live. Discover now