Quando la verità salta a galla

5.4K 254 58
                                    

CAPITOLO 3

«Dimmi chi ti piace!» mi chiese Judith.

«no dai!» risposi, ridendo.

«Ti odio» disse tirandomi una pacca sulla spalla, sorridendo a sua volta.

«Gne gne!» ironizzai.

«Ma io sono seria! Dai... Dimmi chi ti piace...» chiese di nuovo mettendo un broncio da bambina dell'asilo.

Il suo viso era così tenero che non si poteva dirle di no.

«... Jim...» sussurrai imbarazzato.

«JIM?!» urlò a squarciagola.

«Sshh, stai zitta stupida!» risposi bruscamente, preoccupato di tutta la gente che si era voltata a guardarci.

Era impressionante come la sua voce potesse arrivare ad un tono così elevato. Stavamo ridendo mentre scendevamo le scale. Andammo alla sala fotocopie e lì potemmo finalmente parlare a voce alta e spettegolare come piaceva fare a lei.

«Ma chi, oltre me, lo sa?!» chiese lei.

«Nessuno...» dissi io, abbassando la testa.

Lei capì che c'era qualcosa che non andava, ma lasciò perdere il discorso cambiando argomento.

«L'hai visto quel ragazzo carino di quarta?! Mmmm... Che Figo!» disse ridendo.

Io non risposi, mi limitai solamente a sorridere ed annuire. La verità era che pensavo a come dirlo ai miei genitori. Loro non mi avrebbero mai accettato. Erano una famiglia antica, una di quelle con cui non puoi trattare l'argomento "omosessualità". Era più che sensato il fatto che io avessi deciso di non dire nulla e starmene zitto.

«Corri che la Prof. ci mette la nota se non siamo in classe tra 5 minuti!» disse Judith prendendomi per mano.

«Non... Non ce la faccio!» risposi ridendo e ansimando allo stesso tempo.

Arrivati in classe, ci accomodammo ai nostri posti e iniziammo la lezione. C'era Storia della Musica. Me la cavavo abbastanza bene in questa materia.

«Bene ragazzi, vi voglio avvisare che settimana prossima andremmo a teatro a sentire una delle opere liriche di Mozart...» disse la Prof.

Io stavo già pensando a cosa mettermi. Guardai verso di Clarabel e mimai con la bocca: «Andiamo in treno?». Lei annuì.

Avevo proprio voglia di vedere Cremona nella tiepida notte, con le luci che illuminavano i Giardini e rendevano le fontane ancora più imponenti, il Torrazzo che veniva illuminato dai fari posti di fronte ad esso, vedere le stradine che percorrevo la mattina diventare più sinistre del normale. Amavo quella città di notte.

«Oh ma stai attento!» mi urlò contro qualcuno.

«Senti coso, datti una calmata!» risposi scontroso. Era stato Jim. Lo odiavo quando faceva così, ovvero sempre. Ultimamente mi trattava male. Io gli avevo confidato il mio segreto, pur sapendo di non dover raccontarlo proprio a lui e, per peggiorare la situazione, gli avevo anche confermato che mi piaceva. Ora non lo guardavo più negli occhi, quei suoi bellissimi occhi, anche se continuavo a fissare quelle labbra che avrei tanto voluto baciare.

«Che frocio!» dissero in coro William e Franz. I miei occhi si spalancarono. Come potevano saperlo?! Sicuramente era stato Jim. E se lui lo avesse già detto a tutta la classe? Sarebbe stata la fine per me.

Suonò la campana. Io mi alzai dal banco per andare in bagno a sciacquarmi il viso, ma venni spintonato a terra da quel trio di "bulletti". William era un ragazzo alto, proveniente da una famiglia benestante, vestiva sempre con capi firmati e indossava degli occhiali costosissimi, ma era terribilmente arrogante e magro. Franz, invece, era prepotente e permaloso, pensava di aver sempre ragione, aveva un bel pó di muscoli e quella cicatrice sulla fronte e gli occhiali, lo facevano sembrare Harry Potter. Quando mi rialzai da terra, notai i loro sorrisini maligni scolpiti su quei visi da prendere a schiaffi. Non avevo voglia di piangere, così ignorai l'accaduto e feci solo segno di stare bene a quei tre. La verità era che stavo morendo al mio interno, ma non per il fatto che mi avessero fatto male, ma bensì perché il ragazzo che mi piaceva era stato capace di farmi ciò.

Passò quasi velocemente la settimana tra spintoni, battutine e pizzicotti. Il giorno prima dell'opera decisi di stare a casa, così finsi di avere la febbre. Non volevo vedere di nuovo quei tre bastardi.

La sera stessa, mi arrivò un messaggio da Clarabel.

"E così pensavi di non dirmelo, vero?! Dai, cazzo, Erick! Ci conosciamo da più di 9 anni e non hai mai trovato la forza di dirmelo? Si vede che hai tanta fiducia in me..."

Io ero perplesso. Non capivo a cosa si riferisse, così le risposi di non afferrare il concetto. Mi telefonò.

«Erick, porca troia, perché non me l'hai mai detto?!» chiese lei alterata. Dalla sua voce si poteva intuire che si sentiva tradita ed era afflitta. Potevo intuire di cosa stesse parlando.

«Non... Non avevo il coraggio!» dissi io singhiozzando.

«Ah no?! Però per dirlo a Judith, che é una perfetta sconosciuta, le hai trovate le palle.» rispose scocciata.

«Il problema è che avevo paura di una tua reazione. Avevo paura di mettere a rischio la nostra amicizia!». Ora ero davvero in lacrime.

«Sei un'idiota, ma sei il MIO idiota. Tu pensi che sarebbe cambiato qualcosa se a te piacciono i maschi oppure le femmine?! Beh, no!» disse con tono affettuoso.

«Ti voglio bene Clara!» risposi singhiozzando.

«Anch'io te ne voglio, Er» concluse.

La sera dell'opera, eravamo in stazione. Salimmo sul treno e ci sedemmo in un vagone vuoto così avremmo potuto parlare liberamente e tranquillamente.

Clarabel mi diede uno schiaffo.

«Questo è per aver dubitato di me». La mia guancia stava andando a fuoco e, dal dolore, mi scese una lacrima.

Poi seguì un abbraccio.

«Questo è perché ti voglio bene!». Ora mi sentivo meglio.

«Ma scusa... Chi ti ha detto che io ero...» chiesi dubbioso.

«...Gay? Non devi vergognartene, anzi devi esserne fiero!» concluse la mia frase.

«... si, esatto!» dissi io stampando un sorriso sul mio viso.

«Beh, Jim l'ha detto a tutta la classe...» rispose Clarabel.

«COME?!CHI?! COSA?! QUANDO?!» urlai a squarciagola.

«Ebbene si!» disse semi-soddisfatta. Stavo per vomitare. Immaginavo la reazioni dei miei compagni. Mi avrebbero escluso dal gruppo, mi avrebbero dato del "malato mentale", mi avrebbero trattato male. L'ansia cresceva sempre di più.

Arrivati a Cremona, Clarabel si ricordò di dirmi che Angel voleva sapere la verità. Io ero pronto a confessare tutto.

Una volta giunti a teatro, io, Clarabel e Angel prenotammo i biglietti sui palchetti, così saremmo rimasti soli a parlare. A noi si unì anche Victoria.

Salimmo le scale che portavano al palchetto e, una volta prese le postazioni, ci chiudemmo dentro.

«Ora, Erick, dicci la verità» disse Clarabel, spronandomi a confessare.

«Ok, va bene! Ciò che ha detto Jim è vero...» risposi con paura.

Angel mi saltò addosso nel tentativo di abbracciarmi e Victoria fece lo stesso. Entrambe sembravano averla presa bene. Ero commosso.

«Ti voglio bene Merdina e per qualunque cosa tu abbia bisogno, non esitare a chiedere il mio aiuto» mi sussurrò Angel ad un orecchio. Ora potevo morire in pace. Sapere che non avrei dovuto affrontare tutto da solo, mi rendeva più forte.

L'amore é uguale per tuttiWhere stories live. Discover now