Mi Manchi...

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CAPITOLO 23

Erick's Pov

«Felipe» mormorai, incredulo.

Come era possibile che lui fosse lì, proprio davanti a me? Avevo trascorso intere settimane a organizzare modi per non incontrarlo agli intervalli, durante il tragitto per correre in classe, o mentre mi assentavo per andare in bagno. Ero arrivato persino a rintanarmi in classe, pur di non vederlo. Eppure ora mi era talmente vicino da farmi mancare l'aria.

Tentai di deviare lo sguardo, puntando verso Diego, il quale stava sorridendo ad una signora che faceva fatica a trattenere i suoi tre figli scalmanati. Era uno spettacolo davvero carino, se non fosse per il problema che sorgeva a qualche passo da me. Felipe continuava a fissarmi, il che era già di per sé imbarazzante, seguendo con gli occhi ogni mio minimo movimento. Perché faceva così? Non ne aveva avuto abbastanza?

«Diego, andiamo?» lo richiamai, strattonandolo per la manica del suo giaccone. Speravo vivamente che ci allontanassimo da lì, almeno per evitare di passargli vicino e dover avere per forza un contatto con lui.

Il fatto era che mi mancava realmente tanto da star male. Non smettevo di pensare in lui un solo momento, soprattutto quando mi dirigevo verso la stazione da solo. Percorrevamo sempre quel tragitto insieme, sorridendo, scherzando fra di noi, tristi nel pensare che presto ci saremmo dovuti separare. E tutto ciò mi mancava: stare con lui, parlare con lui, dormire con lui, solamente lui. Sapevo che il mio fosse un amore non sano, ma non mi potevo incolpare per essere innamorato di lui, specialmente se il primo ad avermi illuso fosse stato proprio Felipe. Nonostante ciò, capivo anche che dovevo continuare con la mia vita, con o senza di lui, e distrarmi da ogni sorta di attrazione nei suoi confronti.

«Okay, andiamo» disse Diego, prendendo una direzione differente da quella che mi aspettavo. Ci stavamo avvicinando a Felipe e non potevo permettere che accadesse. Così lo tirai da un braccio, trascinandolo da tutt'altra parte.

«Ahi, Erick, così mi fai male - disse, liberandosi dalla mia presa. Mi fissava stranito, con la fronte corrucciata, mentre si massaggiava il polso arrossato. Forse lo stavo stringendo un po' troppo forte, ma dovevo assolutamente allontanarlo da Felipe in ogni modo. - Perché mi hai portato qui?»

Mi guardai intorno e, anche se non ci eravamo spostati molto da dove eravamo prima, notai che fossimo davanti un negozio di animali. 'Perfetto' pensai.

«È che... Volevo vedere i gattini. Sai, mi piacciono tanto...» cercai di essere convincente, spalmando il naso sulla vetrina per non far vedere la mia faccia da non-bravo menzognere. Diego si avvicinò a me, poggiando una mano sulla mia spalla. Strinse un po' la presa, facendomi voltare verso di lui. Lo fissai intensamente negli occhi e mi sorrise, chiudendo i suoi occhi a due fessure che lasciavano intravedere le sue iridi celesti. Dovevo ammettere che era un bel ragazzo dopotutto, peccato che fossi già in altri problemi...

«I gatti, eh?!» chiese, divertito.

«Si, i gatti. Cosa c'è di male?» sbottai scontroso, mettendo su un'adorabile broncio.

«Niente» rispose, trattenendo a fatica una risata.

Sbuffai, senza però evitare di sorridere sentendo la sua risata. Era contagiosa, ma anche molto dolce. La sua voce era bassa, non troppo, assumeva un tono delicato e accentuato sulle vocali alla fine di ogni frase, tipico dell'accento della provincia Cremonese. Ed era proprio qui che eravamo cresciuti, non proprio a Cremona, ma in un paesino abbastanza lontano, ma comunque in provincia. E la cadenza, nella sua parlata, si notava e non poco. Sin da piccoli, ci divertivamo a imitare svariati dialetti che probabilmente avevamo sentito parlare dai vicini, trovandoli anche divertenti. E con il tempo, questa passione mi era rimasta. Amavo sentire parlare le persone, in ogni dialetto: era stupendo.

L'amore é uguale per tuttiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora