Contraddizioni

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CAPITOLO 20

Erick's Pov

Che ore erano? Era giorno o era notte? Questo non lo sapevo.
Le finestre della mia camera erano chiuse, così come le persiane. C'era odore di chiuso e il mio letto era ormai disfatto da giorni, senza mai essere stato risistemato.
Come ogni pomeriggio, dopo scuola, mi lanciai sul letto e affondai la testa nel morbido cuscino. Era ancora umidiccio, reduce del pianto della sera prima.
Continuavo così da veramente troppo tempo ormai. I miei occhi erano diventati secchi a furia di piangere ogni dannatissima notte, prima di addormentarmi pensando ancora una volta alla causa di tutto ciò.
Felipe, non poteva essere che lui.
Non l'avevo per niente preso bene il suo tradimento. Non reagivo nemmeno più, sembravo un morto in vita. Continuavo con la solita routine come se niente fosse: casa-scuola, scuola-casa. Neanche le mie amiche vedevo più nei pomeriggi. Mi segregavo in camera mia, rintanandomi sotto le coperte, pensando a ciò che una volta era di me e lui.
Anche quel pomeriggio avrei fatto così... Se non fosse stato per Clarabel ed Angel.
Erano lì, sul ciglio dell'entrata a fissarmi, con le braccia rigorosamente conserte. Mi guardavano imbronciate, ma soprattutto scocciate. Sbuffarono addirittura, prima che Clarabel aprisse la finestra e le persiane. Angel invece mi tirò su per un braccio, facendomi per lo meno sedere.
Le guardai astioso, infastidito dal fatto che stessero cercando di tirarmi su con il morale.
«Come fai a vivere qui dentro, non senti che puzza?!» mi rimproverò Clarabel, portandosi teatralmente due dita a chiudere le sue narici.
«Da quanto tempo sei messo così?» chiese Angel, sembrando più dolce di quanto non volesse sembrare.
«Due settimane e Tre giorni» recitai, come un orologio svizzero.
Lei spalancò le palpebre in maniera oscena, alzandosi velocemente dal letto e raggiungendo Clarabel, che stava ancora armeggiando con la maniglia delle persiane.
«Ha tenuto persino il conto» commentò una, abbassando lievemente il tono della voce sperando di non farsi sentire.
«Sono preoccupata, An» contestò l'altra, non smettendo di guardarmi di sottecchi.
Allora entrambe si fecero spazio accanto a me, una da un lato e l'altra dall'altro. Mi cinsero in un grosso abbraccio, il quale non ricambiai. Rimasi immobile, prestando attenzione ad un punto vuoto di fronte a me.
«Er, da quanto non senti...» si azzardò a chiedere Clarabel, ricevendo poi un'occhiataccia da Angel.
«Da quel giorno» risposi, sentendo leggermente lo stomaco agitarsi.
«Tu invece come stai?» domandò Angel, accarezzandomi teneramente il capo.
«Così» risposi con lo stesso tono meccanico, freddo e distaccato.
Più volte, agli inizi, credetti di stare veramente bene, di non provare niente e di essermene completamente dimenticato. E la tattica funzionò abbastanza bene, fino a quando quella sera non mi ritrovai solo con lo spartito della canzone che stavamo mettendo in piedi insieme.
Fu un'idea sua. Voleva che la potessimo cantare entrambi, che fosse una canzone che parlasse di noi. Che fosse il nostro motto, che ci aiutasse quando sentivamo la mancanza dell'altro. Che ci ricordasse che ci appartenevamo l'un l'altro, che in nessun caso si sarebbe potuto sciogliere il nostro legame.
Quel pezzo di carta, macchiato dall'inchiostro della penna fino a metà foglio, scaturì una serie di ricordi che martellarono incessantemente la mia mente. Ricordi che però facevano male.
In quel momento, mi resi conto di star mentendo a me stesso e che in nessun modo avevo potuto dimenticare.
E scoppiai, soffocai le urla nella soffice fodera del cuscino, strinsi i pugni fino a far diventare le nocche bianchissime, piansi con tutta la forza che avevo in corpo.
Ora nella mia stanza regnava il silenzio. Nessuno fiatava, nessuno muoveva un muscolo per paura di poter interrompere quella quiete che lasciava intendere molte cose. Socchiusi gli occhi, prendendo fiato.
«Mi manca! - esclamai con semplicità, meravigliandomi di aver dato voce ai miei pensieri - per quanto possa essere stato idiota, mi manca!»
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo d'intesa che però non riuscii a percepire, quando poi "chiamalo" disse Angel.
E l'idea non mi fu poi così banale come poteva sembrare. Con le mie migliori amiche al mio fianco, avrei trovato il coraggio di fare ciò che avrei fatto sin dal primo giorno. Così sfilai il telefono dalle tasche dei Jeans e composi il numero. Le dite tremarono prima di premere la cornetta verde sul display ma quando partì la chiamata, portai il cellulare immediatamente all'orecchio. Prese a suonare per un tempo indeterminato, che mi sembrò così infinita l'attesa. Forse era solo l'eccitazione di poter sentire la sua voce un'altra volta, l'ultima avrei detto.
«Pronto? Erick, sei veramente tu?» la sua voce fu capace di isolarmi dal resto del mondo, trasportando una scia di emozioni con se; e mentre ansimava ansioso, come se non aspettasse altro da anni e anni, io me lo immaginai dinanzi a me, con i suoi occhi color smeraldo puntati nei miei.
«Si, sono io» sospirai, prendendo nuovamente fiato per calmarmi.
«Icko, non sai quanto mi manchi» e quel soprannome mandò in palla tutta la razionalità che mi tratteneva dal dire stupidate delle quali mi sarei potuto pentire.
«Ti prego, fammi parlare e non mi interrompere.
Spero che tu abbia letto la mia lettera - inspirai, assumendo di nuovo un tono duro e senza alcuna emozione - ora ti volevo parlare apertamente»
«Icko, ti scongiuro. Non facciamoci dell'altro male: torna!»
«Lo sai che non ho ancora dimenticato, non possiamo fingere che vada tutto bene»
«Allora dimmi perché mi hai chiamato!» gridò esasperato, sbuffando sul microfono del telefono, il quale mi provocò una serie di brividi lungo la schiena.
«Perché - indugiai sulla risposta. In verità non c'era un particolare motivo, se non il fatto che mi mancasse terribilmente. Ma questo non lo avrei mai detto. Mi ero già ridicolizzato abbastanza davanti i suoi occhi, ora era tempo di farla finita una volta per tutte. Il cuore nel petto iniziò a battere forte, il respirò accelerò ad ogni boccheggio - Non ti amo più»
Clarabel e Angel mi guardarono sconcertate. Mi morsi la lingua, pensando alla grande bugia che stavo armando nella mia mente. Dovevo terminare in un modo che non mi distruggesse più di quanto lui non avesse già fatto e l'unico modo era mentirgli. Mentirgli di stare realmente bene, di poter essere sereno anche senza di lui.
«Cosa?» chiese lui, con tono dubbioso e alquanto incerto.
Forse non era il massimo come menzogna, forse era più un modo per convincere me stesso. Di forse ce ne erano abbastanza, di certezze neanche mezza, ma l'orgoglio prese parola al mio posto e così assecondai le bugie più stupide che mi passarono per la mente.
«Hai sentito bene.
No, non dipendo più da te. Ora mi sento meglio, sai? Non ho pensato nemmeno un secondo a te, nemmeno uno. Anzi, ho riso fino a dieci minuti fa.
Vedi?! Posso essere felice anche senza di te. Mi sto rifacendo una vita, come tu ti stai rifacendo la tua - tirai su col naso, più volte anche. Sentivo gli occhi inumidirsi, così chiusi le palpebre cercando di dissimulare almeno un pó.
Provai anche a fare dei respiri profondi, ma tutto sembrava solo peggiorare la situazione. E quando una lacrima solcò il mio viso fino a sfiorare le labbra, mi accorsi di stare peggio dicendo quelle assurditá. Ma la farsa non era ancora finita, nonostante stessi degradando ad ogni sillaba che pronunciavo. Il tono sicuro e inespressivo prese ad essere più incerto e sapevo che da lì a poco avrei ceduto - sai, mi sto sentendo con un ragazzo davvero carino. È anche simpatico. Si chiama... R-Robert, si! Con lui le cose vanno a meraviglia. Mi fa sentire bene e...»
«Erick, cosa stai dicendo?» la sua voce si inarcò verso le ultime lettere, colpendomi dritto al cuore. Non era la solita voce ferma e decisa che mi augurava la buona notte prima di addormentarmi, era qualcosa di più malinconico.
Sapevo di star sbagliando, sapevo di causarmi solamente altro dolore così, ma in quel momento non riuscivo a non pensare ad altro. Ero accecato dalla sete di vendetta, certo che lo avrei fatto sentire un mostro dicendogli. Ma forse il vero mostro ero io, in questo caso forse lo ero veramente.
«Quello che ti ho appena detto: anche se non ci sei stato, mi sono sentito bene. Dopo che sono tornato a casa, nei giorni successivi, non ho mai ripensato ai giorni felici passati insieme. Mai. Sono stato davvero bene senza di te - e in quel momento cedetti. La maschera che stavo indossando per farmi forza, si stava sgretolando tra le mie dita. Capii che non aveva più senso mentire, non ero stato nemmeno un pó convincente.
Clarabel e Angel si accoccolarono di più sul mio petto, che si alzava ed abbassava a fatica. Inutile dire che stavo piangendo, ormai era scontato. Pensavo di poter essere forte, audace, ma non ero fatto così. Io ero debole, io non sapevo difendermi, io non ci riuscivo - fino a quando la notte è diventata fredda. E tutti mi hanno abbracciato, tutti mi hanno consolato, tutti mi hanno cercato, ma non erano te»
«Erick, io-»
«La Primavera è giunta quasi al termine. Sembra che sia questo il periodo dell'amore, non credi?
Sai, ti sto immaginando ora. Scommetto che sei sdraiato sul letto, senza fare niente come tuo solito. Scommetto anche che la casa sarà un totale disastro perché non ti sei nemmeno degnato di pulire qualcosa. Se fossi lì, sicuramente mi arrabbierei» sorrisi, un sorriso sforzato e acquoso. Sapevo di starmi contraddicendo, ma ero fatto così.
«Erick, smettila. Così rischi di star male il doppio. Pensi che non me ne sia accorto di tutte le bugie che mi volevi rifilare? Pensi che non me ne sia accorto che stai male? Pensi che io non abbia un cuore? Pensi che non stia male anch'io? Per favore Erick...»
«Allora perché? Perché se stai male, l'hai fatto?»
«Perché sono stato uno stupido, ora stai meglio?! Non avrei dovuto, mi sono lasciato trasportare dal momento e non ti immagini quanto mi dispiace. Ti va bene così?!»
«Non ho più niente da dirti, se non che tu sia felice. Addio Fefe, stammi bene» e riattaccai.

********
SPAZIO ME.

Hola People, ecco a voi il capitolo.
Mi scuso tantissimo se il capitolo è confuso o quant'altro, ma sono a casa con l'influenza e non sto per niente bene. Questo capitolo doveva avere anche un'altra parte, ma preferisco lasciarla per dopo.
In ogni caso, ditemi se avete più o meno afferrato il concetto o se non ci siete riusciti. Sarò più che felice di leggere qualche vostro commento.

Questo capitolo è dedicato soprattutto a tutti i miei lettori che in questo momento stanno affrontando vari esami: andranno bene gente, sono fiducioso!❤️
È dedicato alle mie amatissime lettrici di fiducia (non le nomino nemmeno suvvia!)❤️
Ma più di tutti a te. Si, proprio tu. So che stai leggendo, non te ne vergognare. Non dirò il tuo nome perché so che ti darebbe fastidio, so quanta paura hai. Paura che la gente ti possa additare per strada, paura che i tuoi genitori non ti accettino, paura che qualsiasi tuo amico si allontani da te. Beh, sappi che non andrà affatto così.
Per questioni di Privacy, ti chiamerò "Bravery", che significa coraggio. Si, significa proprio coraggio. Quella cosa che ti manca, giusto?! Non avere paura, non andrà così male. All'inizio ti sembrerà strano, ma so che pian piano ci farai l'abitudine.
Ricordati che essere gay, bisessuale, qualunque cosa tu sia, non è sbagliato, non lo è affatto. Tu sei speciale, non smetterò mai di ripetertelo. Lo sai che ci tengo moltissimo a te, non dubitarne mai.
Spero tu possa accettarti per quello che sei, perché non potrai mai rinnegare te stesso, in nessun caso. Quindi, abbi coraggio.❤️

Ok. Tralasciando la piccola dedicuzza, Vi saluto e spero di poter aggiornare presto.
Ah, un'ultima cosa: passereste a leggere "numbers" di Norobyprotested. Le avevo promesso che l'avrei aiutata e così ho fatto. Grazie in anticipo❤️
Baci
-Francesco
P.s. Scusate se ci sono errori, ma sto veramente male. ❤️

L'amore é uguale per tuttiWhere stories live. Discover now