Dieci

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Che belli che sono il signor Mario e sua moglie Ginevra. Si vede chiaramente che si amano ancora. Riesco a percepirlo ad ogni singolo «fatti fottere» che si dicono amorevolmente a denti stretti; la voglia di non darsi conforto vicendevole e la facilità con cui lui ha lasciato la camera da letto, sgonfiando le ruote della sedia a rotelle della moglie per non farsi inseguire fino alla porta d'ingresso.

Sì, in questo momento sono a casa loro. Il signor Mario doveva prendere qualcosa prima di partire. D'altronde per gli anziani un viaggio di poche centinaia di chilometri richiede un impegno pari a uno Hobbit che decide di lasciare la Contea.

Sto sgranocchiando delle noci che la signora Ginevra aveva aperto poco prima che arrivassimo. Non ho mai mangiato noci buone come queste, aperte e pelate con eccellente perizia.
Sarà per la sua esperienza da casalinga vissuta, che le permette di scegliere i migliori prodotti del mercato.
O è soltanto la fatica che ci ha messo nell'aprirle, nonostante il Parkinson, a renderle preziose al palato.

«Andiamocene da questa casa abitata dal diavolo» mi strilla Mario indicando la moglie, intenta a girare a forza le ruote sgonfie della carrozzella tra scricchiolii di gomma sul pavimento e insulti ben scanditi contro i suoi antenati.
«Arrivederci signora!» le dico mentre afferro gli ultimi due gherigli dalla tavola. «E mi scusi se le ho mangiato tutte le noci. Erano buone, comunque.»

Mentre usciamo ci guarda con la bocca incredibilmente spalancata; la dentiera inferiore le si scolla e le casca tra le gambe rinsecchite. Poverina, la capisco. Non è facile gestire un uomo come il signor Mario.

«Dov'è la macchina?» fa lui.
«Quale macchina? Andiamo in treno.»
«No no, scusa. Io soffro di prostata, riesco a pisciare solo in un bagno vero e quelli di Trenitalia proprio non riesco a sopportarli.»
«Sulla questione Trenitalia la capisco, ma almeno ha sempre un bagno a disposizione. Se ci andiamo in macchina, invece, dobbiamo fermarci ad ogni autogrill» dico io, cercando di essere più che convincente. Non voglio tirare in mezzo lo stereotipo dell'anziano che si lamenta per ogni sorpasso azzardato, ogni spia del motore accesa o limite di velocità superato di qualche tacca, ma è questo il vero motivo per cui non voglio andarci in auto.
Non ci sto. Preferisco immaginarci felici in treno ad addentare un panino Camogli FS, sgranocchiare patatine e bere una coca alla modica cifra di ventitré euro. Sempre che non abbia da ridire sulla velocità del treno lamentandosi col macchinista.

E poi, non chiamatemi taccagno, ma la macchina si usura ad ogni accensione e chilometro percorso; c'è l'autostrada da pagare, la benzina. Senza contare gli imprevisti come multe o incidenti.
Io i soldi me li guadagno, non come Mario.
Non so neppure cosa abbia fatto prima di raggiungere la vecchiaia, ma viste le guance rubiconde e la costituzione robusta di sicuro sarà stato un dipendente statale.

«Ti ha mai detto tua nonna che sei un rompicoglioni?» mi dice.
«E le ha mai detto la sua che è uno sboccato?»
«No. La mia diceva: quando senti la contraerei nasconditi nel rifugio, prega Dio almeno cento volte altrimenti il Signore ti porterà via con sé.»

Era un bravo vicino. Salutava sempreWhere stories live. Discover now