Capitolo 8

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Ho ancora il nervoso addosso quando mi siedo sulle gradinate.

Non ho più niente.

Lo zaino che avevo deve averlo preso Jordan, assieme alla pistola e al coltello; l'arma che mi aveva lanciato una delle due donne di questo gruppo devono aversela ripresa. Le uniche cose che mi rimangono sono i vestiti.

Non so perché me ne preoccupo così tanto: adesso sono costretta a rimanere con loro.

Non so nemmeno perché me ne lamenti: la vita non sembra fatta solo di sopravvivenza qua dentro.

Provo un senso pesante di inadeguatezza e inutilità.

«Kayla.» Sento pronunciare il mio nome da una voce femminile e, voltando la testa, scopro che appartiene a Olivia.

Mi chiedo se questa giornata può andare peggio di così.

La fisso per qualche istante, mentre viene a sedersi accanto a me.

Appoggia una mano sulla mia spalla, delicatamente.

«Va tutto bene?»

«Perché le importa?» le rispondo, forse un po' troppo acidamente.

Del resto, ho le mie ragioni: l'ultima volta sembrava che mi odiasse, nonostante non mi avesse mai vista prima.

«Capisco che mi tratti così dopo come ti ho rivolto la parola e mi dispiace. Ma devi capirmi» dice, abbozzando un sorriso e sfregando leggermente la sua mano sul mio braccio.

«Non sono esattamente nella condizione di poter capire oggi» rispondo, spostandomi dal suo tocco.

Certo, non ero da salvare nemmeno io. Non avevo fatto che comportarmi male con la maggior parte della gente che avevo conosciuto.

«Mi dispiace, davvero. Keith, mio figlio, è morto da poco» mi spiega, giocando con le sue mani.

Ricordo che il ragazzo di pochi giorni fa mi raccontato di suo figlio. Non capisco perché me lo stia raccontando lei, però.

«Mi dispiace» dico, guardando altrove. Mi sento a disagio.

«È stato Jordan.» Il suoi occhi sono fissi nei miei: sono pieni di rabbia e dolore.

«Ho bisogno di sapere se è morto» continua, questa volta prendendomi le mani e stringendole tra le sue.

«Sì.»

«Grazie.» Mi stringe in un abbraccio.

La lascio fare, so che ne ha bisogno. Del resto, la capisco: quando successe tutto questo avrei voluto abbracciare anche io qualcuno e sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene.

Ma non c'era nessuno.

«Guarda come ti hanno ridotta» dice, scrutandomi il viso attentamente.

«Passerà» rispondo e distolgo lo sguardo.

«Vieni ancora al nostro tavolo a mangiare, okay?»

Annuisco e la vedo allontanarsi e poi sparire in una delle tante porte qui dentro.

Lentamente salgo le scalinate una ad una e arrivo ad affacciarmi alle finestre: sta piovendo.

Trovo uno spazio libero e mi ci siedo.

Penso a mia sorella e a mio fratello e se fossero qui con me. Penso a come sarebbe se tutto questo non fosse vero, se tutto non fosse successo così velocemente, così alla sprovvista. Li rivedo mentre scappiamo dalla nostra casa: la fretta di prendere il necessario per vivere, il panico e la confusione negli occhi di due bambini così piccoli da non capire cosa stava succedendo, ma da capire di essere in pericolo.

Alive - Prova a sopravvivereWhere stories live. Discover now