Capitolo 13

3.8K 235 9
                                    

Il rumore dei passi e del mio respiro sono gli unici presenti.

Il sole splende forte nel cielo e l'aria è umida.

Il mio sguardo è rivolto verso l'asfalto.

Sulle spalle sento tutto il peso dello zaino, nonostante sia quasi completamente vuoto.

Nella mia mente continuo a rivedere il corpo di Reece inerme in quella maledetta casa.

Davanti a me ci sono Calum e Mali, dietro c'è Lynton.

Tutto il resto è sfocato, annebbiato. Non è importante.

Sento il rumore della porta della palestra aprirsi: non alzo lo sguardo,entro e basta.

Mi arriva dritto alle orecchie tutto il vociare attorno a noi, appena tornati dalla spedizione.

Mantengo lo sguardo basso.

Oltrepasso Wayne che ci è venuto in contro per aiutarci con gli zaini e sapere come è andata fuori.

Ignoro il suo richiamarmi allarmato e vado verso le scalinate che portano al tetto della palestra.

Apro la porta con fatica e mi trascino sugli scalini, uno ad uno. All'ultimo mi tolgo lo zaino dalle spalle e lascio che cada per terra con un tonfo.

Mi avvicino al parapetto e mi siedo appoggiandoci la schiena.

Tiro le gambe al mio petto e ci appoggio sopra le braccia. Sono ancora ricoperta del suo sangue: le mie braccia, le mie mani, la mia maglietta.

È colpa mia.

È colpa mia se è morto.

È colpa mia perché ho deciso di lasciarlo solo in quei pochi secondi che gli sono costati la vita.

Porto le mani al mio viso e stringo forte gli occhi. Le lacrime cominciano a scendere e vorrei poter urlare.

Vorrei poter gridare con tutta l'aria nei miei polmoni, tirare fuori tutto ciò che provo dentro, vorrei porre fine a tutto questo, vorrei poter tornare indietro nel tempo e vorrei non essermi mai unita a questo gruppo.

Vorrei che le cose fossero andate diversamente, vorrei aver potuto evitarlo,avrei potuto farlo se solo non avessi deciso di lasciarlo solo in quel dannato momento.

«Kayla.»

Premo le mani sugli occhi, senza preoccuparmi di guardare chi mi ha raggiunta sul tetto.

So già chi è, lo riconosco dalla voce.

Si siede di fianco a me.

«Non è colpa tua.»

Lascio cadere le mani in grembo e alzo lo sguardo al cielo.

«Sappiamo entrambi che ogni volta che andiamo fuori potrebbe essere l'ultima, Reece lo sapeva.»

Guardo Wayne. Nel suo sguardo non c'è scia di rimprovero, vedo però il dolore.

Lo vedo e mi viene ancora più voglia di urlare.

«So che è difficile, ma dobbiamo andare avanti, non possiamo permetterci...»

«Lui era una mia responsabilità!» grido a pieni polmoni, frustrata, con le mani tra i capelli e le lacrime che mi rigano le guance.

«Dovevo stare con lui, dovevo proteggerlo e non sono stata in grado di farlo!» Mi alzo in piedi.

«Ho il suo sangue addosso e la sua morte sulla coscienza, come posso andare avanti facendo finta che non sia successo niente?! Aveva solo diciassette anni, Wayne!»

Alive - Prova a sopravvivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora