Cap. 6 - Il nettare della Dulcamara

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Eric

Fissai l'uomo che era riuscito a scombussolare Roza a tal punto da delegarmi momentaneamente la gestione del bordello.
Continuava a passarsi una mano tra i lunghi capelli neri e a sistemarsi la camicia inamidata, sembrava ansioso di rivederla.
Megan gli si avvicinò con la sua caratteristica camminata felina, sembrava una lince affamata a caccia di povere lepri.
Lo voleva, era palese nei suoi occhi d'ossidiana che parvero brillare di luce propria.
Gli sussurró qualcosa, ero troppo distante per captare una qualsiasi sillaba ma il viso di lui si illuminò e si allontanarono insieme.
Mi scostai con una spallata dallo stipite al quale ero appoggiato e mi avviai nelle cucine.
Presi un cesto di vimini e iniziai a riempirlo con varie cibarie, presi una brocca con dell'acqua fresca e alcuni frutti.

"Mi sento una cazzo di sguattera"

Una mano delicata mi sfiorò il braccio e una voce dolce ruppe il silenzio nella stanza.
«Eric potresti passarmi quelle fragole? » presi i frutti rossastri e mi voltai verso la figura esile di Armin, era come un fratellino per me, arrivato al Giardino a soli tre anni subito divenne la mia ombra; all'epoca avevo solamente sedici anni e le redini erano ancora in mano alla madre di Roza.
«A te.» Gliele porsi e gli scompigliai i capelli chiarissimi.
«Sono per la nuova arrivata?» indicò le cibarie riposte nel cesto con un delicato gesto della mano.
«Sì , devo occuparmene io, fanculo.» Imprecai per quel compito del cazzo.
«Se non erro la sua punizione finisce oggi, Roza non ha ancora detto qual é il suo nome.» Sorrise riempiendo una teiera di acqua.
«Esattamente, pulita devo dire che non é affatto male.» Sogghignai lascivo pensando al seno che mi ero fottuto già un paio di volte.
«Comunque si chiama Alyson...» sussurrai.
«Sei un porco!» scosse la testa sospirando tragicamente.
«No, amico mio, semplicemente la figa é uno dei doni migliori di Nostro Signore e dovresti provarla.» Ridacchia osservando la sua espressione disgustata.
Ero stato il primo a capire le sue preferenze per lo stesso sesso e lo avevo aiutato a uscire dal suo guscio di timore e vergogna, gli piaceva il cazzo fine della questione, lui era sempre il bambino che avevo cresciuto e ai miei occhi non sarebbe mai stato inadeguato o sbagliato per una scelta così importante per lui.

Gli feci l'occhiolino e presi il cestino avviandomi dall'adorabile Dulcamara.

Stava dormendo nella brandina al centro della stanza, la stessa brandina dove le avevo insegnato un uso alternativo e molto piacevole della sua amabile bocca .
Roza aveva ordinato di lasciarla appesa alla croce, ma gestione mia, regole mie.
Appoggiai le provviste a terra e mi avvicinai al suo orecchio ispirando il profumo dei fiori di ciliegio e sussurrai:
«Sveglia raggio di sole.» Grugní parole sconnesse e tentò di scacciarmi con la mano.
Iniziai a percorrere le sue cosce con la mano e le solleticai i fianchi coi polpastrelli al punto di costringerla a muoversi convulsamente tentando di fuggire alla mia presa mentre un sorriso si apriva tra le sue dolci labbra color pesca.
«Mi avevi pregato di portarti del cibo ed eccolo qui, mangia angioletto. » Il mio sguardo percorse interamente il suo corpo, era perfetto ai miei occhi e volevo divorarla ogni giorno di più.
«Oh ma grazie di non farmi morire in questo buco,» Si piegó in avanti allungandosi verso il cesto e prese una ciliegia scuotendo il suo adorabile fondoschiena in modo provocante.
«So che lo fai apposta.» Ridacchia prendendola per i fianchi e spingendolo contro l'erezione sempre più impellente.
Le sfuggì un gemito lieve e si spinse con la schiena contro il mio petto e con la mano libera si aggrappó ai miei capelli dorati tirando con forza.
«Cazzo.» Grugnii passandole una mano sui seni grossi e sodi, lasciando nel frattempo una scia di baci lungo il suo collo e la spalla.
«Mi sei mancato Eric.» Sospiró dolcemente tra le labbra.
La osservai voltandola verso di me e presi a baciarla con più passione, sentivo una strana pressione al petto quando ero lontano da lei.

Tutto era incominciato circa due settimane prima, ero andato per punirla secondo gli ordini di Roza e mi rifiutai dopo aver visto il suo stato. Era troppo magra per poter sopportare una punizione del genere, rischiava di ammalarsi o peggio.
Decisi allora di testa mia di prendermene cura, la lavai e nutrii.
Parlammo molto in quei pochi giorni e mi raccontò della sua storia, di come la sua vita era cambiata drasticamente alla morte della madre, nobildonna caduta in rovina a causa dei vizi del marito, il quale aveva sperperato tutto il patrimonio della famiglia.
Il bastardo, per ripagare parte dei propri debiti vendette anche la sua unica figlia.

Guardai quegli occhi cangianti che fin da subito mi avevano colpito per la loro intensità.
Da qualche tempo l'aria sembrava esser diventata irrespirabile lontana da lei, mangiavo poco e il mio cervello non voleva ormai più ritrovare la concentrazione.

"Mi stai avvelenando"

Il Giardino delle RoseWhere stories live. Discover now