Cap. 19 - Benedict Atlas

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Jack

«Come diavolo hai potuto?! Senza consultarmi!» Da svariati minuti stavo urlando in faccia a mio padre. Mi sentivo deluso, tradito, mortificato nei confronti di Roza; ora capivo il suo gesto e soprattutto le sua parole. Non potrei mai immaginarla intenta a sposare un altro uomo, per questo le parole di Joseph mi avevano fatto infuriare come mai prima d'ora, per non parlare del modo in cui l'aveva stretta a se durante il loro ballo. Doveva stare lontano da lei, non doveva guardarla, desiderarla, pensarla e nemmeno immaginarla, mi mandava il sangue alla testa e perdevo il controllo. Quella donna scorreva ormai come droga nelle mie vene, era diventata la mia ossessione e non avrei permesso a nessuno di avvicinarsi a lei. Non era difficile raffigurarla tra le pareti della mia mente: bellissima, intelligente, spavalda, con la schiena dritta e l'orgoglio brillare nei suoi grandi occhi castani, era forte e non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno.
Era un uragano pronto a spazzarmi via con semplicità, ma non sarei fuggito dalla tempesta, non di nuovo. L'avevo abbandonata ferita e sofferente, ma non avrei ricommesso il medesimo errore, non mi sarei più allontanato da quella straordinaria creatura dalla pelle diafana.
Il momento del nostro primo incontro brillava ancora nitido nella mia mente, come rimasi incantato all'arrivo di quello strano trio, che nonostante il mercato fosse gremito di gente, spiccava sopra tutti, colorati e giocosi creavano uno strano contrasto con il grigiume che sembrava impregnare tutta l'isola fluttuante. Il mio sguardo era stato catturato immediatamente dalla donna che guidava il gruppo, che sicura e ammaliante come una splendida pantera, camminava elegantemente consapevole di essere al centro dell'attenzione. Mi aveva attratto come una falena alla luce e per veder risplendere quella fiamma mi sarei anche fatto bruciare.
Riportai l'attenzione su mio padre, i suoi occhi di ghiaccio mi sondavano con sufficienza, era intento a strofinarsi il mento coperto da una leggera peluria, mentre seduto dietro la scrivania dello studio dei Clay, aspettava la conclusione del mio sfogo. Mi sentivo tremare, tanto lo sforzo nel resistere alla rabbia e alla violenza.
«Hai finito? Sei davvero ridicolo Jack, ho semplicemente compiuto il passo che non hai avuto il coraggio di fare in tutti questi anni.» Lo fissai sconvolto, mi guardava con estrema sicurezza, come se quelle parole contenessero la verità assoluta.
«Io non voglio sposare Charlotte!» lo urlai stremato, sentii la voce rimbombare tra le pareti e quasi coprire il sommesso bussare alla porta.
«Avanti.» Mio padre sminuì le mie parole con un gesto leggero della mano e ripose la sua attenzione alla soglia, dalla quale entrò Henry Clay, il padre di Joseph.
«Siete spariti all'improvviso, Charlotte da sola non riesce ad intrattenere tutti.» L'uomo mi diede una pacca gioviale sulla spalla guardandomi con orgoglio, sentii l'ira ribollirmi, mi sentivo un vulcano pronto all'eruzione.
«Scusa vecchio mio, Jack mi stava giusto dicendo quanto felice fosse di sposare Charlotte.» Rabbrividii al sentire il tono risoluto di mio padre, mi ero piegato spesso al suo volere, aveva comandato qualsiasi momento importante della mia vita: la mia istruzione, i miei hobby, le mie amicizie, il mio lavoro e probabilmente avrebbe deciso anche quest'ultima cosa, se Lei non fosse entrata nella mia vita.
«Non è affatto così, io non mi sposerò.» Affermai a denti stretti fissando le iridi azzurre e fredde di Benedict Atlas. Si alzò in piedi con lentezza, eravamo alti uguali, ci guardavamo negli occhi con sfida, azzurro contro nero vidi la sua mano tendersi verso l'alto per poi scontrarsi contro il mio viso, la forza del colpo mi portò a voltare la testa. Fu lo schiocco la parte peggiore, quasi non sentii lo schiaffo, nonostante il dolore si stesse lentamente diffondendo lungo la guancia, percepii qualcosa di caldo scivolare lungo il mio zigomo e notai mio padre pulirsi una sostanza rossa rimasta impregnata nella sua fede nuziale. Mi aveva aperto un taglio sul volto, mi ripulii dal sangue con le dita e digrignai i denti, nello sforzo di non alteralmi ulteriormente ed immancabilmente perdere il controllo.
«Tu farai ciò che ti dico senza fiatare, sposerai la giovane Clay, senza fare storie.» La solita solfa ripetitiva, stava iniziando a stancarmi, dovevo trovare Roza prima che se ne andasse, dovevo chiarire una volta per tutte l'intero malinteso che si era venuto a creare.
Lo sguardo del sindaco rimbalzava da me e mio padre, quasi come stesse seguendo una partita di badminton, e purtroppo nonostante il mio volere totalmente in disaccordo, era ormai chiaro che avrei perso questo scontro.

«Perdonate l'intrusione, ma nell'altra sala non ci sono alcolici decenti.» Il mio cuore perse un battito all'udire quella voce melodiosa e mi voltai incontrando il meraviglioso viso di Roza, libero dall'ingombrante maschera. Mi incantai a ripercorrere quei tratti dolci e delicati, i suoi occhi castani brillavano sicuri, un sopracciglio spiccava inarcato beffardamente, mentre scrutava mio padre senza alcun timore.
Alle sue spalle notai una fanciulla che non ricordavo di aver visto al Giardino, i capelli dorati risplendevano nella penombra nella quale era celata, non si era tolta la voluminosa maschera verde, ma vedevo i suoi occhi azzurri saettare lungo la stanza, come a raccogliere più informazioni possibili, tra le mani teneva la maschera di Roza. Rimasi colpito dal suo atteggiamento, non aveva il tipico portamento delle cortigiane, la sua schiena era dritta e lo sguardo fiero, come quello di una nobildonna.
Le osservai sorpreso entrare nella stanza a testa alta, la ragazza vestita di verde rimase accanto alla porta, mentre la donna dai capelli corvini proseguì fino al mappamondo delle isole, lo aprì con disinvoltura e si servì un bicchiere di liquore brunastro, che immediatamente scese giù per la sua gola, sfiorando quelle labbra carnose, che anche in quest'assurda situazione, rievocavano in me i momenti passionali trascorsi insieme.
«Che diavolo state facendo?» Tuonò mio padre osservandola allibito, immediatamente serrai i pugni pronto a tutto, non gli avrei permesso di sfiorarla con un solo dito, la donna lo ignorò avvicinandosi con passi leggeri alla mia figura, la sua mano minuta corse al mio viso, accarezzò delicatamente la ferita procuratami da mio padre e un sospiro uscì grave dai dolci petali rossi che erano le sue labbra. Mentre il mio corpo immediatamente reagiva al suo tocco, sorrisi grato di quella dolce premura, solo il passaggio delle sue dita, sembrò lenire con semplicità il dolore alla guancia.
«Lei è Miss Roza Davies!» Il sindaco, rimasto in silenzio fino a quel momento, prese parola osservando la donna con malcelata lussuria, rabbrividii disgustato e inconsapevolmente mi frapposi fra l'uomo e la fanciulla.
«Che piacere vederla sindaco.» La donna mi sorpassò con leggerezza, esprimeva serenità da ogni poro e con sicurezza strinse la mano del primo cittadino, che immediatamente vi depositò un bacio, inchinando leggermente il capo.
Nel frattempo osservai mio padre, sembrava incuriosito dalla ragazza dai comportamenti così inusuali, i suoi occhi la sondavano percorrendole il corpo più e più volte, con insistenza, per poi spalancarsi pieni di una nuova consapevolezza. Credo che per la prima volta nella mia intera vita lo vidi impallidire, il colore defluì velocemente dal suo viso, lasciando una maschera bianca, come se avesse perso ogni singola briciola di forza in corpo, lentamente tornò a sedere.
«Uscite. Uscite tutti, devo parlare da solo con lei.» La voce uscì con fatica, quasi balbettante. Henry interrotto nel mentre di uno dei suoi soliti, noiosissimi discorsi, guardò il suo amico perplessamente, ma non fece domande e guardandomi con incoraggiamento, mi precedette nell'andar fuori.
Roza si volse verso la scrivania, fissando l'uomo seduto dall'altra parte con uno sguardo particolare, una luce inquietante, quasi crudele illuminava le sue iridi scure. Mi guardò per un' ultima volta, prima che seguissi la ragazza bionda e il sindaco fuori dalla stanza, sorrise rassicurante per poi girarsi. Mi dava ormai le spalle e la vidi piegarsi, per raggiungere col volto la stessa altezza di mio padre, i palmi stretti al bordo del tavolo, le spalle contratte. Fui in grado di percepire solamente una frase prima di chiudere la porta:
«Vorrei dire che è quasi un piacere rivederti Benedict.»

Il Giardino delle RoseWhere stories live. Discover now