Cap.13 - Parlatemi

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«Pesce fresco, appena arrivato dai terreni sommersi! »
«Fatevi un salasso gente! »
«Tessuti pregiatissimi, con ricami in puro oro...»
Mi incamminai tra le bancarelle del mercato, colori brillanti e cacofonie di voci e suoni mi circondavano, rallegrando l'ambiente scuro e fumoso della città.
Per la prima volta da tempo ero sola, nessun fiore mi accompagnava nelle mie passeggiate.
La schiena fortunatamente non mi doleva più ogni secondo, i punti finalmente non erano una tortura, non sentivo più la pelle lacerarsi e strapparsi a metà, avevo perfino smesso di sanguinare copiosamente e le bende venivano sostituite solamente una volta al giorno.
Inspirai con un fremito i meravigliosi profumi che giungevano alle mie narici da una bancarella di fiori e piante esotiche, mi fermai per qualche minuto per ammirare le meraviglie di quelle sfumature pastello e la morbidezza di quei petali vellutati.
Riuscii poco dopo a schiodarmi, solo grazie al pensiero che mi aveva portata ad uscire in solitaria dal bordello: Jack Atlas.
Mi incamminai con fittizia noncuranza verso le bancarelle più vicine al distretto, quando all'improvviso mi sentii afferrare con violenza una spalla e scuotermi, contenni a stento un urlo, mentre percepii chiaramente ogni singolo punto tirare, come se la mia pelle si squarciasse nuovamente, un lampo attraversò i miei occhi e non riuscii a vedere chiaramente per qualche secondo, lacrime amare solcarono le mie guance.
Un disgustoso odore di acido ed alcol raggiunse le mie narici e mi trattenni a stento dal rimettere.
«Ehi! Ehi! Tu sei la puttana del bordello! Fammi un servizio puttana!» mi girai sconvolta verso quella voce profonda e sgradevole.
Un uomo palesemente ubriaco mi fissava, i pochi capelli grigi cadevano unti sulla fronte umida di sudore.
I menti grassocci tremavano, mossi dai respiri faticosi che uscivano da quel grasso porco.
«Lasciatemi!» tentai di allontanarmi con rabbia e disgusto, mentre la sua stretta diveniva sempre più forte.
«Sei una puttana! Fammi un lavoretto troia!» la sua mano corse al borsello legato alla cinta e mi lanciò con crudeltà delle monete addosso, l'intero mercato sembrava essersi fermato ad ammirare lo spettacolo.
Percepivo chiaramente la schiena bruciare, sembrava andare a fuoco e mi rendeva debole alla stretta dell'uomo, la mia concentrazione ricadeva sempre sul dolore delle ferite e non riuscivo a ragionare lucidamente su come allontanarmi da lui.
Una voce possente e virile sopraggiunse alle mie spalle, per un attimo il mio cuore sembrò fermarsi:
«Lasciate la signorina immediatamente.»
Un solo attimo, durò la mia illusione prima di riconoscere un pesante accento del Sud in quelle parole.
Una mano dalla carnagione olivastra sopraggiunse a separarmi dal molestatore.
Il nuovo arrivato era altissimo, mi spostò con delicatezza alle sue spalle e finalmente guardandolo in viso lo riconobbi, era Riou, l'uomo che aveva acquistato la prima notte della cara Dulcamara.
Ricordavo con chiarezza che era un mercenario.
«Levati sangue marcio, le ho dato dei soldi, mi deve un lavoretto.» Il grasso omuncolo rise fissandomi con i crudeli occhi nerastri.
Un brivido di disgusto percorse la mia schiena quasi con violenza.
«Ti chiami Riou esatto? So che sei un mercenario, acquisto immediatamente i tuoi servigi non importa la somma. Voglio che allontaniate quest'uomo da me!» fissai gli occhi ambrati dello straniero che mi guardavano stupefatti. Un ghigno sadico attraversò il suo volto.
«Ai suoi ordini mia signora.» Percepii più che vedere il pugno che si scontrò violento contro il mio molestatore, rabbrividii all'udire le ossa del naso spezzarsi con estrema facilità mentre un fiotto di sangue prese a scorrere copioso. L'uomo stupefatto toccò il proprio grugno e con fatica si rialzò da terra furioso.
«Sangue marcio bastardo! Chiamerò la polizia figli di puttana! » altri insulti gli morirono immediatamente in bocca quando una delle lame si poggiò con decisione su uno dei molteplici menti, Riou lo fissava senza pietà, ghignando perverso.
«Avanti signor Maiale, cos'altro desiderava dire? » una goccia cremisi stillò dal punto in cui la lama spingeva con decisione, l'uomo iniziò a tremare e sudare ancora più abbondantemente.
La mia voce uscì con ritrovata sicurezza, drizzai la schiena fissandolo con crudeltà. Doveva pagare per avermi umiliata.
«Facciamo un patto. Chiedimi scusa e il mio amico non ti taglierà la gola!» sorrisi piegando il viso.
«Fottiti put... » il pugnale spinse più a fondo e l'uomo si bloccò terrorizzato.
«Va bene! Va bene, chiedo scusa. Chiedo perdono mi dispiace! Ora lasciatemi!» mi avvicinai con passo lento e sicuro.
«In. Ginocchio. » Sussurrai lentamente sbattendo le ciglia in modo civettuolo.
«Cosa? Scordatelo puttana! » il coltello attraversò con delicatezza il perimetro del collo, era un taglio superficiale ma l'uomo inizio a stridere come un maiale e tentò di fuggire mentre la stretta possente di Riou non gli permetteva di scappare.
Lo mise in ginocchio passandogli più e più volte la lama sul volto, con lentezza e senza applicarvi alcuna pressione.
«Io... Vi chiedo umilmente scusa mia signora, non dovevo trattarvi in quel modo.» Le parole uscirono tremanti.
Soddisfatta feci segno al mercenario di lasciarlo pure andare, il ragazzo bruno lo molló e lo allontanò con un calcio sul grasso deretano, per poi mettersi al mio fianco e con un finto inchino, mi fece segno di precederlo.
Scoppiai in una risata leggera e lo presi a braccetto. Osservai incuriosita le nostre carnagioni a confronto, il pallido del mio incarnato contrastava piacevolmente con la sua pelle scura e abbronzata.
«Allora mio caro, a quanto ammonta la vostra parcella? » con un sorriso mi guardò e mi fece bonariamente il verso.
«Vediamo mia cara, credo che basterà permettermi di giacere con la vostra bella biondina ogni volta che lo desidero.» Lo guardai sorpresa, il suo nettare lo aveva davvero ammaliato.
«Non mi va molto di utilizzare uno dei miei fiori come merce di scambio, ne parlerò con lei e se accetterà... »feci un gesto vago con le mani.
«Ho capito, benissimo. Sono certo che accetterà. Ha accettato molte volte quella sera.» Mi guardò con una forte sicurezza e mi coprii le labbra per nascondere una risata.
Arrivammo in breve tempo alla caserma delle forze armate.
Mi bloccai sui miei passi alla vista del seno prosperoso di Charlotte che come un pendolo, continuava ad oscillare davanti al naso di Jack.
L'ira crebbe incontrollata, quella vista mi irritava terribilmente e non ne capivo il motivo. Fui tentata di girare i tacchi e tornarmene al bordello ma il mio braccio ancora intrecciato a quello del mercenario me lo impediva, oltre a una buona dose di orgoglio.
«Riou caro, aspettami qui.» I miei occhi non mollavano la scenetta teatrale che avevo davanti. Sentii la risata dell'uomo al mio fianco.
«Vai micina, tira fuori gli artigli»
«Ti rivolgi sempre così a una signora? »
«Diciamo che dalle mie parti ci trattiamo tutti allo stesso modo, inoltre mi stai simpatica, ricordi molto la mia sorellina...» la voce roca si tinse di malinconia e dopo una carezza leggera sulla testa, si andò a sedere sulle scale del municipio che sorgeva accanto alla centrale.
Lo guardai sorpresa, la pelle scura risaltava colpita dolcemente dalla luce del sole, che miracolosamente era riuscito a fuggire dalle nuvole nere di pece. Quell'uomo nonostante fosse molto pericoloso mi donava un senso di pace.
Riportai la mia attenzione sulla coppietta di fronte a me e mi incamminai lungo le scale. Jack mi dava le spalle e non poteva vedermi mentre Charlotte a stento percepiva qualcosa al di là del proprio naso.
Riuscii a cogliere qualche pezzo della conversazione.
«Jack, papà ti ha invitato a passare qualche giorno nella nostra tenuta estiva, che ne diresti di venire? » le sue mani erano artigliate al braccio di lui e continuava con apparente noncuranza a strofinarsi contro il suo petto.
«Hai ragione, Charlotte.» La sua voce sembrava assente e rimasi molto stranita dalla risposta senza senso di Jack.
Lei d'altro canto, rinchiusa nel suo mondo fatato non aveva dato peso alle sue parole e continuava a fantasticare su ipotetiche, future giornate passate insieme.
Mi morsi il labbro, una sensazione di calore mi bruciava le viscere, come se la mia stessa bile stesse ribollendo, la presenza di Charlotte era sempre più irritante.
Presi un grosso respiro, appoggiai delicatamente la fronte alla sua schiena ispirando il suo profumo, mi era mancato come l'ossigeno, sembrava che i miei polmoni avessero appena ripreso a funzionare e con un filo di voce parlai:
«Buondì mio signore.» Trattenni il fiato preoccupata, appena lo sentii irrigidirsi, passai lentamente le mani lungo le sue braccia, assaporando la forza dei suoi muscoli sotto la stoffa della giacca.
«Oh, la ragazza della casa con le erbacce! » Charlotte mi guardò sorridendo ignara dei trascorsi tra me e il suo adorato, mentre l'ira attraversava sicuramente il mio volto.
«Mia signora, non voglio parlare con voi.» La voce di Jack era statica, piatta e incolore. Mi sentii quasi morire, strinsi con più forza la stoffa alla quale ero appesa.
«Ho bisogno di parlarvi, vi prego.» Percepivo io stessa la supplica nella mia voce, ormai non mi stupivo nemmeno più del suo ascendente nei miei confronti. Ero strana con lui accanto.
Sentii i suoi muscoli fremere sotto il mio tocco.
«Jack, per favore. Lasciatemi spiegare.» Sussurrai contro la sua schiena.
«Vi concedo due minuti. Charlotte, scusaci un attimo.» Si congedò dalla donna svampita e mi prese per un braccio con ben poca delicatezza, per poi allontanarci insieme in una zona più isolata.
«Cosa vuoi Roza? Mi sembrava tutto abbastanza chiaro al bordello prima che... » lo vidi chiudere gli occhi e inorridire al rievocare alcune immagini.
Aspettai in silenzio che continuasse la frase, avevo bisogno delle sue parole.
«Prima che l'isola iniziasse a tremare, cazzo Roza ti ho vista scivolare via dal mio campo visivo, dalla mia vita, ti ho dato per ferita o peggio e non riuscivo a convivere col senso di colpa. Mi vergognavo solo a farmi rivedere nel tuo Giardino.» Mi guardò con gli occhi lucidi e le meravigliose labbra carnose tremanti.
«So che hai chiesto della mia salute al alcuni dei miei fiori.» Affermai lievemente, mentre tentavo di assimilare ogni singolo centimetro di lui, volevo imprimerlo a vita sulla retina, ricordarmi di ogni minimo particolare e averlo ancor di più nei miei pensieri.
«Sì, non sopportavo l'idea di non sapere come stessi. » Notai delle profonde borse contornargli lo sguardo e automaticamente la mia mano cercò il suo volto, desiderosa di donargli anche la più fragile delle consolazioni.
Le sue dita si intrecciarono immediatamente alle mie, bramando quel contatto agognato così a lungo. Un sospiro scappò dalle sue labbra socchiuse. Desideravo con tutta me stessa baciarlo in quel preciso istante.
«Io ed Eric siamo solo amici da molto tempo, non ho interessi o fini secondari nei suoi confronti. Non é lui a interessarmi, non é lui a riempire i miei sogni la notte od ogni mio singolo pensiero durante il giorno.» Lo guardai dritto negli occhi mentre il suo viso ricercava ancora carezze, passai le dita con delicatezza lungo la linea della sua mascella, assaporai coi polpastrelli il lieve accenno di barba che ricopriva il suo volto, accarezzai con dolcezza la linea morbida delle sue labbra desiderandole sulle mie.
«Cosa diavolo mi avete fatto? Dovete essere una strega, mi avete fatto un incantesimo.» La sua bocca si avvolse calda intorno alle mie dita e succhiò avidamente. Una fitta raggiunse lesta il centro del mio piacere, ero calda e bagnata, pronta per lui. Trattenni un gemito e mi appoggiai a lui, i nostri corpi si incastravano alla perfezione e sentii le sue mani avvolgermi le natiche attraverso la stoffa spessa dell'abito.
Avevo bisogno del tocco delle sue mani sulla mia pelle, dentro di me, nella mia anima. Sospirai di piacere quando le dita incontrarono la nuda pelle sotto le vesti, che con impazienza aveva tirato su.
«No Jack, voi mi avete stregata in qualche modo.» Ci guardammo per qualche attimo, prima che le nostre labbra si chiudessero in un lungo e desiderato bacio.

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