Cap.7 - Elettricità

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Mi osservai allo specchio con attenzione, da cinque minuti buoni  continuavo a passare la mia personale spazzola in argento tra i capelli annodati.
Posai l'oggetto e mi aggrappai con forza al mobiletto della specchiera e fissai il mio riflesso con un sospiro.
Dovevo ritrovare il controllo, ero sempre stata una donna sicura e forte, non poteva un uomo a caso scombussolarmi così.
Inspirai cercando una sorta di calma interiore e mi avviai fuori dalle mie stanze verso il mio ufficio, dove lui mi stava aspettando.
Vidi con la coda dell'occhio una testa bionda avviarsi al piano inferiore con tra le mani un cesto.

"Ma che diavolo?"

Me ne sarei occupata più tardi ora avevo altro a cui pensare, soprattutto a tenere gli artigli di Megan lontano dal caro signor Atlas.
Arrivata davanti alla porta in legno controllai un' ultima volta il mio vestiario togliendomi della polvere immaginaria ed entrai senza bussare.

Spalancai gli occhi sorpresa mentre un senso di oppressione attanagliava il mio petto, potevo quasi sentire i miei succhi gastrici ribollire per il fastidio e la rabbia.
Megan gli era praticamente appiccicata addosso e gli accarezzava i capelli con fare sensuale, continuava a strofinare i seni contro il petto di lui.
A primo impatto Jack sembrava partecipe del momento,  ma dopo una seconda occhiata mi parve chiaro come cercasse di sfuggire alla presa di lei.
«Non vorrei sembrare scortese,  ma i suoi servigi non mi interessano. Sono qui per Roza.»
Uno strano calore, molto tenue, mi invase al sentire le parole dell'uomo e riuscì ad attenuare lentamente la collera.
Diedi un colpo di tosse per segnalare ai due la mia presenza.
La prostituta scattò come una molla allontanandosi dal corpo aitante del ragazzo.
Gli occhi scuri di Jack immediatamente cercarono i miei, leggevo in essi un bisogno sempre più crescente di risposte e con la mano gli indicai la poltroncina posta davanti alla mia scrivania in mogano.
«Megan puoi uscire.» Dissi fermamente osservando la ragazza dalla pelle olivastra che impallidí sentendo il mio tono e dopo un inchino impacciato quasi corse fuori dalla stanza.
«Desidera qualcosa da bere? » mi avvicinai alla credenza nella quale conservavo i miei alcolici; solitamente bevevo per darmi coraggio nelle contrattazioni con clientela particolarmente influente o mercanti molto cocciuti.
«Ah, sì ti ringrazio.» La voce di lui era roca e la stanza sembrava carica di elettricità; ero quasi certa che solo con essa avremmo potuto mantenere accese per mesi le luci del bordello.
Con fare sicuro versai il liquido ambrato in due bicchieri e mi voltai nuovamente verso Jack.
Mi dava le spalle per via della disposizione del mobilio e potevo notare chiaramente i muscoli contratti della schiena,  avrei saputo bene come sciogliere quei nodi.
Mi avvicinai con passo deciso e appoggiai uno dei bicchieri sulla scrivania davanti a lui.
Consapevolmente sfiorai la nuca di lui con il mio seno stretto nel corpetto, lo vidi irrigidirsi e trattenere il respiro.
Era nuovamente nel mio territorio e non mi sarei nascosta come l'ultima volta.
Mi abbassai ancora,  fino a sfiorare il lobo dell' orecchio con le mie labbra, potevo sentire la sua colonia che fin dal primo momento mi aveva colpito con la sua fragranza particolare.
«Di cosa voleva parlarmi?»
«Sono rimasto molto sorpreso da quello di cui sono venuto a sapere.» La sua voce era ancora più bassa e roca e volse il capo fino a incontrare il mio sguardo.
Girai intorno a lui e mi sedetti sulla mia poltrona accavallando le gambe nascoste dalla gonna a balze.
«Certamente capirà signor Atlas che non ero assolutamente tenuta a dirvi nulla della mia attività o della mia vita privata.» Mi morsi il labbro appoggiando la schiena contro la poltrona in pelle e intanto mi portai il liquore alle labbra e bevvi un sorso.
Il calore dell'alcol mi invase la gola.
Il suo pomo d'Adamo si mosse velocemente su e giù, una leggera peluria ricopriva quella zona, volevo passarci famelicamente la lingua ad assaggiare il suo sapore.
Mi leccai le labbra nel tentativo di inumidirle mentre Jack cercava il coraggio di dirmi qualcosa.
«So benissimo Roza che non sono nessuno per chiederti spiegazioni, ma sono certo di non essere l'unico a percepire questa carica tra di noi.
Io voglio conoscerti meglio.»
Si grattò la mascella con malcelato imbarazzo, cercando di sembrare sicuro di sé.
Le mie labbra si schiusero in un sorriso dolce e sospirai sentendo le mie gote tingersi di rosso.
«Sì, anch'io la sento.» Sussurrai lieve sperando quasi che non sentisse.
I suoi occhi si illuminarono e un enorme sorriso si fece strada suo suo volto, lo trovai bellissimo.
Smisi di rivolgermi con il voi e iniziai ad essere più diretta, come di solito mi rivolgevo agli altri uomini.
«Avanti togliamoci questo peso, poni pure le tue domande.» Mi passai una mano tra i capelli e mi massaggiai il collo dolorante.
«Beh, ci sono molte cose che vorrei chiederti,  ma non vorrei offenderti con questa domanda in particolare.» Si schiarì la voce tormentandosi la catenina dell'orologio da taschino.
Mi alzai avvicinandomi a lui e presi la sua mano tra le mie, per smettere di ascoltare l'irritante rumore dello sfregarsi degli anellini della catena tra loro.
Lo vidi sussultare al mio tocco e alzò lo sguardo verso di me prendendo coraggio.
«Tu... Ti sei mai.  Come dire...» iniziò a gurdarsi intorno alla disperata ricerca di un' ispirazione.
«Venduta? » conclusi io al suo posto.
Annuì in silenzio.
«No, mai.» lo fissai negli occhi e lo vidi rilassarsi e osservò le nostre mani intrecciate e ne avvicinò una alle sue labbra baciandone delicatamente le nocche.
«Questo mi fa sentire molto meglio mia dolce Roza, non riuscirei a vivere bruciando d'odio e di gelosia verso chi ti ha toccata come un mero oggetto.»

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